Il Satiro di Mazara rappresenta una
delle rare opere scultoree in bronzo a noi pervenute dall’antichità.
La rarità delle statue bronzee del mondo greco e romano
è dovuta al fatto che spesso, per l’esigenza
di reperire metalli o in caso di necessità belliche,
esse venivano fuse per ricavarne altre sculture o armi. Il
fatto che le fonti antiche parlino di celebri scultori, come
Lisippo e Prassitele e dei loro capolavori, ha indotto la
comunità scientifica degli archeologi ad elaborare
tesi e supposizioni sulla possibile identificazione del Satiro
con l’originale di un famoso scultore o con una copia
o ancora con un’anonima opera di un’abile artigiano.
Sulla base quindi delle diverse considerazioni avanzate dagli
studiosi, in base a ragioni di ordine tecnico o stilistico,
le datazioni proposte per il Satiro oscillano tra il IV secolo
a.C. ed il I secolo d.C.
Da un’iniziale erronea identificazione della statua
bronzea con la figura di Eolo, dio del vento, gli archeologi
sono giunti alla conclusione che si tratti di un Satiro, figura
semiferina del corteggio di Dioniso, sia per le orecchie equine
che per la presenza sul dorso di un foro per la coda equina.
Inoltre il confronto con rappresentazioni analoghe su gemme
e rilievi ha precisato ulteriormente che si tratta di una
figura di Satiro danzante in preda all’ebbrezza del
vino, solitamente raffigurato in vorticoso movimento con il
capo rivolto all’indietro e un kantharos (coppa per
il vino) in una mano, mentre sostiene con l’altra il
tirso, bastone adorno di foglie, nastri talvolta con una pigna
ad un’estremità.
Il Satiro di Mazara è stato identificato da Paolo Moreno
con il Satiro opera dello scultore Prassitele vissuto nel
IV secolo a.C. (375-330 a.C.), secondo un’interpretazione
che finora ha avuto larga eco. Antonino Di Vita la considera
ornamento di una nave (tutela) opera del tardo ellenismo o
dei primi anni dell’Impero romano. Secondo Eugenio La
Rocca la statua sarebbe un’opera del tardo ellenismo,
di cui è tipica la rappresentazione realistica e vorticosa
del movimento, mentre Claudio Parisi Presicce considera il
Satiro pertinente ad un gruppo statuario realizzato ad Atene
ed adoperato come modello dalle officine degli artisti neoattici
della seconda metà del I secolo a.C.
Per quanto concerne i dati tecnici, l’elevata presenza
di piombo (16-17%) nella lega, che rende il bronzo più
duttile dopo il raffreddamento e offre la possibilità
di ritoccare a freddo con il cesello i dettagli, denota una
fase evoluta della tecnica bronzistica antica, peculiare delle
opere bronzee tardoellenistiche.
Per Nicola Bonacasa il Satiro di Mazara farebbe parte di un
gruppo scultoreo raffigurante il trionfo indiano di Dioniso,
databile al I secolo a.C. Da ultimo Antonio Giuliano sostiene
che la statua facesse parte di un gruppo di Satiri e Menadi
creato nel 30 a.C. per il trionfo di Marco Antonio che aveva
conquistato l’Egitto.
Avvincente la storia del rinvenimento della scultura. Nella
primavera del 1997, nelle acque del Canale di Sicilia antistanti
Mazara del Vallo, rimase impigliata nelle reti del motopeschereccio
“Capitan Ciccio”, di proprietà degli armatori
Asaro e Scilla, comandata da Francesco Adragna. Fu allora
che il Soprintendente ai Beni Culturali ed Ambientali di Trapani,
Dott.ssa Rosalia Camerata Scovazzo, attivò una ricognizione
nell'area presunta del rinvenimento. Sulla base di analisi
con il sonar a scansione laterale, effettuate tra il 21 ed
il 22 luglio 1997, fu segnalata la presenza di altri reperti
metallici. Fu recuperata quindi la statua priva delle braccia
e dell'altra gamba. Visto il delicato stato di conservazione
la scultura fu trasportata a Roma dove fu sottoposta ad un
delicatissimo e complicato restauro ad opera dell'Istituto
Centrale del Restauro.
Testi a cura di Alessandra Merra (beni
archeologici) e Valeria Sola (beni storico-artistici)
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