Efebo
di Mozia
450-440 a.C.
Marmo, h m 1,81
Provenienza: Mozia, zona K, scavi 1979
Mozia (TP), Museo “G. Whitaker”
>scheda |
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La statua, in marmo greco-orientale,
raffigura un Efebo, un giovane dal corpo atletico.
La scultura è priva delle braccia e dei piedi e la
presenza di perni bronzei sul capo fa ritenere che dovesse
avere un copricapo. La testa, leggermente inclinata, ha il
viso incorniciato da un acconciatura di riccioli a chiocciola.
La figura è stante con la gamba sinistra portante e
la destra avanzata e flessa. Il braccio mancante doveva essere
proteso verso l’alto, il sinistro anch’esso in
parte mutilo, piegato con la mano poggiata sul fianco. Il
lungo chitone con sottilissime pieghe, stretto da un alta
cintura all’altezza dei pettorali, è aderente
al corpo e mette in risalto le forme anatomiche e la muscolatura.
Al centro della cintura sono presenti gli attacchi per un
elemento metallico relativi ad un accessorio.
La fisionomia del volto e la capigliatura sono tipiche dello
Stile Severo e trovano confronti con le sculture del Tempio
E di Selinunte (C. Marconi ) e con l'ambiente artistico della
Magna Grecia con particolare riferimento all'officina di Pitagora
di Reggio.
La ponderazione della statua ed il lungo chitone plissettato,
che avvolge il corpo con uno straordinario effetto di trasparenza,
riconducono la statua ad un ambiente artistico influenzato
dall'arte di Fidia. Sulla base di tali considerazioni stilistiche
la datazione dell'opera oscilla all’interno del V secolo
a.C.: secondo quarto del V secolo a.C. (datazione condivisa
da molti studiosi); seconda metà del V sec. a.C. (sostenuta
da P. E. Arias, A. Di Vita, B. Sismondo Ridgway etc.); fine
del V sec.a.C. Alcuni studiosi l'hanno datata perfino in età
ellenistica (P. Zancani Montuoro, B. Holzmann).
Problematica è la sua identificazione, oggetto di numerosi
saggi della letteratura archeologica. Plausibilmente rappresenta
un auriga, cioè un atleta vincitore nella corsa con
il carro , o comunque un atleta vittorioso, secondo quanto
ritiene la maggior parte degli studiosi (P.E.Arias, E. La
Rocca, G. Rizza, V. Tusa). Altre ipotesi comunque sono state
avanzate; la particolare veste secondo alcuni ricondurrebbe
ad un sufeta, magistrato punico; per altri sarebbe invece
il dio punico Melqart, corrispondente all'Eracle dei Greci.
Incerto è il luogo di produzione. Sembra plausibile
che artistici greci abbiano realizzato il capolavoro in una
città greca della Sicilia (Selinunte o Agrigento).
Difficile stabilire inoltre se l'opera sia stata realizzata
su committenza di un ricco cittadino di Mozia, o sia stata
portata nell'isola come bottino di guerra in seguito alla
distruzione, ad opera dei Cartaginesi, di una delle colonie
greche di Sicilia.
La scultura fu rinvenuta nel settore nord-occidentale dell’isola
di Mozia, nella area “K” in una zona dove veniva
lavorata la ceramica. Giaceva ricoperta da detriti per cui
si ritiene che essa fosse stata abbattuta durante l’assedio
dell’isola ad opera dei Siracusani nel 397 a.C.
Testi a cura di Alessandra Merra (beni
archeologici) e Valeria Sola (beni storico-artistici)
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