
La scultura può essere considerata
un unicum in Sicilia in quanto raro esemplare della bronzistica
greca di età ellenistica. Attribuita alla cerchia di
Lisippo è espressione di una corrente colta ed intellettuale
che predilige il genere bucolico espresso in campo letterario
dal poeta Teocrito. La statua raffigura un ariete accovacciato,
colto nell’attimo che precede il movimento.
La maestria dell’artista si manifesta nell'efficace
naturalismo, nella costruzione dell’opera, nella concezione
della vibrante testa volta a sinistra, nel realistico rendimento
dei dettagli anatomici e del vello dell'animale.
La tecnica di esecuzione è quella della fusione “a
cera perduta”, procedimento laborioso e raffinato della
metallurgia antica, che fu studiato e riutilizzato dall'arte
del Rinascimento.
L'ariete, insieme ad un'altra copia gemella abbelliva probabilmente
la reggia del tiranno siracusano Agatocle ad Ortigia, agli
inizi del III secolo a.C. All'epoca di Federico II i due bronzi
erano posti su due mensole ai lati del portale del Castello
Maniace di Siracusa. Nel 1448 le sculture furono donate al
Capitano Giovanni Ventimiglia, Marchese di Geraci, come premio
per il suo valore militare. Furono quindi trasportate a Castelbuono,
la cittadina delle Madonie di cui l'aristocratico era signore,
e collocate sul prospetto del Castello.
Nel XVI secolo, dopo altre vicissitudini, giunsero al Palazzo
Reale di Palermo. Nel 1787 furono ammirate da Wolfgang Goethe
che le descrisse in una delle più belle pagine del
suo Viaggio in Sicilia, e nello stesso anno Jean Houel le
ritrasse in una celebre incisione. Durante i moti insurrezionali
del 1848 uno dei due bronzi fu distrutto da un colpo di cannone.
La superstite copia fu donata dal re Vittorio Emanuele II
al Museo Archeologico di Palermo.
Testi a cura di Alessandra Merra (beni
archeologici) e Valeria Sola (beni storico-artistici)
Servizio Museografico U.O. XXXI |