Phiale
d'oro detta
"di Caltavuturo"
Seconda metà del IV - prima metà del III sec,
a,C,
Oro, diam. cm 22,75; h cm 3,7; peso g. 982,40
Proveniente probabilmente dal territorio di Caltavuturo (Palermo)
Antiquarium
di Himera
>scheda
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E' considerata un capolavoro dell'oreficeria
antica , pregevole per i motivi decorativi e per la tecnica
di lavorazione a sbalzo che utilizza la punzonatura, la cesellatura
e l' incisione. La forma della phiale mesomphalos (dal greco
antico “coppa, patera umbilicata”) era molto frequente
sia nella ceramica che nella oreficeria della Grecia antica.
Destinata per lo più alle libagioni e alle offerte
per le divinità durante i riti religiosi, talvolta
se realizzata in metallo prezioso, confluiva nei tesori dei
santuari.
La vasca, ad eccezione del bordo e del tondo centrale, è
interamente decorata a sbalzo, con quattro fasce concentriche
costituite da 36 elementi continui, degradanti per dimensioni
dall'esterno verso l'interno. Tre fasce presentano il motivo
della ghianda e una è decorata con una fila di faggine.
La fila esterna di ghiande è alternata ad api e fiori
di loto. Attorno all'omphalos, ombelico, nella parte esterna
della phiale è inciso un fregio con tralci di vite,
grappoli e foglie, mentre nella parte interna della coppa
entro un collarino zigrinato è un motivo con palmette
e fior di loto.
Sul bordo esterno è incisa un iscrizione in greco che
indica il dedicante ed il peso della coppa.
Il dedicante della coppa potrebbe essere il damarco (magistrato)
Achirio o Damarco figlio di Achyrio.
Il motivo delle api, delle ghiande, delle palmette, dei fiori
di loto e dei viticci è documentato in modo particolare
nella oreficeria greca di età ellenistica. Un esemplare
simile al nostro è conservato al Metropolitan Museum
di New York. La tecnica a puntini dell'iscrizione riconduce
secondo gli epigrafisti al periodo tra la fine del IV e l'inizio
del III secolo a.C.
La storia del recupero della phiale è complessa ed
affascinante ed emblematica perchè è il risultato
di laboriose indagini effettuate dalla Magistratura italiana
e dal Nucleo dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio
Artistico. La prima segnalazione della coppa aurea fu operata
nel 1989 da G. Manganaro, che l'aveva osservata a casa di
un collezionista siciliano. Cinque anni dopo fu avviata dalla
Procura di Termini Imerese un'indagine su alcune opere d'arte
trafugate dal Museo della stessa città. Si appurò
che nel 1980 in seguito ad alcuni lavori per la messa in opera
di un pilone della rete elettrica era stata rinvenuta una
phiale, che clandestinamente fu venduta prima ad un collezionista
di Catania e successivamente ad un collezionista di Enna.
Nel 1991 la phiale viene esportata clandestinamente in Svizzera
e qui venduta da un antiquario al miliardario statunitense
Michel Steinhardt per 1.200.000 dollari, che la trasferì
a New York. Nel 1995 la procura di Termini Imerese avanzò
una richiesta di rogatoria internazionale alla competente
autorità giudiziaria di New York, chiedendo la restituzione
dell'opera. Venne accertata l'autenticità della phiale
sulla base di una perizia archeologica elaborata da un équipe
di professori universitari (N. Bonacasa, G. Nenci. A. Brugnone)
e di analisi di laboratorio effettuate dall'Università
di Siena e di Roma (E. Formighi e D.Ferro). Nel 1999 la coppa
fu sequestrata dall'autorità giudiziaria americana
e riconsegnata allo Stato italiano.
Testi a cura di Alessandra Merra (beni
archeologici) e Valeria Sola (beni storico-artistici)
Servizio Museografico U.O. XXXI |