![]() |
In attesa che vengano pubblicati i risultati della nuova indagine multiscopo dell'Istat, relativa all'anno 1994, è possibile verificare le dimensione e le caratteristiche socio-demografiche della disabilità, attraverso l'analisi delle indicazioni contenute nel volume "I disabili" pubblicato nel 1995 dall'Istituto Nazionale di Statistica.
Tali indicazioni derivano dalla elaborazione dei dati raccolti fra giugno e novembre del 1990 su un campione di 70.000 individui e la loro organizzazione, a differenza dei dati precedentemente descritti e ricondotti alle "invalidità permanenti", sono classificati sulla base del concetto di disabilità tratto dalla ICIDH, all'interno della quale sono state individuate tre dimensioni significative8:
Sulla base di tali dimensioni sono state individuate quattro categorie di disabilità9:
La disabilità può intendersi dunque come l'appartenenza di un individuo ad almeno una di tali categorie; poiché uno stesso individuo può risultare non autosufficiente in più di una funzione non è corretto effettuare operazioni di somma tra le diverse categorie di disabilità.
Secondo questa nuova classificazione risultano essere circa 3 milioni e trecentomila le persone disabili nel nostro Paese, una cifra corrispondente ad un quoziente del 6% della popolazione.
Le successive tabelle 5 e 6 mostrano nel dettaglio, rispettivamente in valori assoluti (in migliaia) e in percentuale sulla popolazione, la distribuzione dei disabili per classe di età e tipo di disabilità.
Il dato più evidente per quel che riguarda la distribuzione per classi di età è la crescita dei valori per la fascia più alta della popolazione dove si ritrovano oltre 750 mila disabili. Non si deve tuttavia associare la condizione dell'anziano a quella del disabile: gli ultra ottantenni in condizione di disabilità, infatti, nonostante siano numericamente molti di più di quelli di ciascuna altra singola fascia di età, rappresentano poco meno del 25% dell'insieme dei disabili e non raggiungono il 50% della popolazione della corrispondente fascia di età.
E' inoltre interessante notare che in una delle classi di età intermedie, quelle che comprende le persone fra i 25 ed i 44 anni si registri il minore quoziente di disabilità su 100 abitanti, nonostante una numerosità in valori assoluti solo di poco inferiore a quelle delle età comprese fra i 75 ed i 79 anni. I 25-44enni, peraltro, sono quelli che maggiormente incidono, in termini numerici, sul totale della disabilità prevalente, quella che riguarda la "difficoltà nel movimento".
La flessione che si registra nel quoziente di disabili sulla popolazione corrispondente per la classe di età 25-44 anni, si evidenzia nei due grafici seguenti (grafico 6 e grafico 7), il primo relativo a tutte le classi di età, il secondo specificamente riferito a quelle classi di età maggiormente interessate dall'attività lavorativa.
Nel paragrafo precedente, relativo alle invalidità permanenti, sono stati predisposti grafici simili, al fine di mostrare l'incidenza della popolazione invalida sul totale ed è possibile, pertanto, pur senza procedere ad un accostamento dei grafici, operare un confronto sulle caratteristiche generali che descrivono le due distribuzioni e dunque notare:
Per quel che riguarda l'aspetto dell'inserimento lavorativo, il grafico 8, relativo ai tassi di attività della popolazione per età e presenza di disabilità, mette in luce il progressivo aggravarsi del quadro occupazionale relativo ai disabili nei confronti delle persone senza disabilità. E' interessante notare che le curve utilizzate per descrivere l'attività lavorativa si distanziano progressivamente con il crescere dell'età.
Ciò è senz'altro dovuto alla presenza di eventi invalidanti che con maggiore frequenza si verificano nelle classi di età intermedie costringendo così al ritiro dal lavoro delle persone disabili. Non va tuttavia dimenticato che una parte delle persone disabili non ha mai lavorato ed è evidente come ciò crei, con l'aumentare dell'età anagrafica differenze sempre più sensibili con la popolazione non disabile. In sostanza la minore differenza del tasso di attività fra popolazione disabile e non disabile per quel che riguarda le classi di età fino a 25 anni può essere probabilmente spiegata anche con fattori esterni alla disabilità, dati cioè che caratterizzano e descrivono la popolazione giovane non disabile:
E la condizione non lavorativa dei disabili, sia per quel che riguarda il tasso di attività, sia per quel che concerne la percentuale di persone che non hanno mai lavorato è a sfavore delle femmine molto più di quanto avvenga per le persone non disabili. I successivi grafici 9 e 10, relativi alla condizione occupazionale dei disabili maschi e delle disabili femmine mostra molto chiaramente questo aspetto: i maschi occupati sono il 30,8% contro il 10,4% delle femmine, fra le quali vi è un terzo che si dichiara casalinga.
E questa è realmente la grande differenza fra i disabili maschi e femmine, nel senso che sebbene i primi mostrino una tendenza maggiore alla ricerca di occupazione ed all'inserimento nei percorsi formativi, va rilevato che nel complesso queste due condizione risultano essere poco incidenti nella composizione percentuale di ciascuno dei sessi.
Per una migliore comprensione della condizione occupazionale descritta dal grafico appare opportuno riportare le indicazioni fornite dall'ISTAT10:
La condizione è quella dichiarata come unica o prevalente dalle persone di 14 anni o più. Si precisa inoltre che:
La situazione occupazionale sopra descritta determina così una composizione del reddito dei disabili soprattutto a carico del trattamento pensionistico, (54,8% dei casi) ed in misura minore dato dal mantenimento da parte dei familiari (22,2%) e dalle attività lavorative (17,2% fra lavoro dipendente e lavoro autonomo) (graf. 11).
Il lavoro dipendente, che rappresenta la principale forma occupazionale, sembra costituire un fattore significativo di autonomia economica a partire dai 25 anni (prima prevale il mantenimento da parte dei familiari) ed è la principale fonte di reddito solo all'interno della classe 25-44 anni). Successivamente è al trattamento pensionistico che viene demandato il compito di assicurare il reddito dei disabili e ciò peraltro non sorprende in quanto si è potuto osservare precedentemente, in relazione ai tassi di attività per classi di età, che proprio a partire dalle classi di età intermedie si rileva l'insorgere ed il consolidarsi delle differenze di tasso occupazionale di disabili e non disabili, anche a causa di eventi invalidanti che con maggiore frequenza si manifestano a queste età (graf. 12).
Complessivamente, tuttavia, la disponibilità di risorse economiche per le persone disabili appare adeguata alle necessità, seppure è evidente lo svantaggio nel raffronto con la popolazione non disabile (graf. 13).
Ed è evidentemente nella classe di età dove maggiore è la concentrazione di disabili che svolgono una propria attività lavorativa e dunque compongono il reddito in virtù del loro essere inseriti nel mercato del lavoro, che si rileva la maggiore numerosità di soggetti che considerano adeguate le proprie risorse economiche (graf. 14), mentre al contrario il peggior rapporto fra persone con risorse adeguate e persone con risorse scarse o insufficienti si manifesta all'interno della classe di età 45-64 anni, dove i primi sono il 68,3% (contro il 70,8% che esprime il valore medio) ed i secondo sono rispettivamente il 25% ed il 6,2%, (a fronte di valori medi del 24,3% relativo alle persone disabili con risorse scarse e del 4,3% relativo a quelle delle persone disabili con risorse insufficienti).
Per quel che riguarda altri caratteri che definiscono il profilo socio-demografico della popolazione disabile, si può notare, in riferimento alla localizzazione del fenomeno, che non esistono grandi differenze nella dinamica di distribuzione dei disabili rispetto a quella già in vista in relazione al fenomeno delle invalidità permanenti. Anche nel caso del fenomeno della disabilità, infatti, si registra una maggiore concentrazione nei comuni piccoli e medio-piccoli (graf. 15). Diverso è invece il caso sulla base dell'esame per grandi ripartizioni territoriali, perché in tale circostanza si assiste ad una prevalenza piuttosto netta di concentrazione del fenomeno nelle regioni meridionali, dove vive circa il 30% dei disabili (graf. 16).
Effettuando inoltre una ulteriore disaggregazione del dato, su base regionale, si nota che è la Sardegna la regione nella quale il quoziente di disabili su 100 abitanti è più elevato (8,4), seguito dalla Puglia (8,2) e dalla Basilicata (7,8) contro un valore medio nazionale pari a 6,1. E' inoltre interessante notare che tutte le regioni del nord hanno valori inferiori a quello medio nazionale ed il più basso in assoluto si registra nella provincia di Trento (3,2) (tab. 7).
Infine, per quel che concerne il titolo di studio conseguito, si rileva un risultato complessivo ancora insoddisfacente, nonostante la frequenza scolastica dei disabili abbia ormai raggiunto livelli comparabili con quelli della popolazione non disabile. La composizione percentuale relativa al titolo di studio, infatti, evidenzia come oltre il 70% della popolazione disabile abbia al massimo la licenza di scuola elementare e solo l'1,9% riesca a raggiungere il titolo più elevato (tab. 8).
![]() |