Hair stylist, Coiffeur pour homme. Se lo avessero saputo i loro predecessori che sarebbero finiti nel più profondo anonimato di un’insegna stilizzata, forse i più nobili “barbieri” non sarebbero mai esistiti. Il progresso, le grandi città, le lunghe distanze, le corse affannose contro il tempo sono termini di paragone piuttosto stridenti messi a confronto con le atmosfere dei “saloni da barba” di un tempo, eppure non lontanissimo, qui, da noi in Sicilia. Ma non era prerogativa soltanto tutta isolana e soprattutto paesana quella. Il grande Totò, il noto comico partenopeo, si esibì in una esilarante pellicola dal titolo Totò, Peppino e i fuorilegge, spaccato di un’Italia anni ‘60 in cui è centrata la figura del parrucchiere. Che dire poi de Il barbiere di Siviglia di Rossini che con il suo melodramma dà una magnifica rappresentazione del mestiere di Figaro(in spagnolo, figaro = bolero, giacca corta, che era l’indumento che era come una divisa, quindi sinonimo di barbiere) in versione canora e musicale. Di ben altra memoria è l’uccisione da parte di una banda rivale di Albert Anastasia, boss della mafia negli Stati Uniti del primi del ‘900 all’interno della barberia dello Sheraton Hotel sulla 55esima Strada a New York. La stessa scena, questa volta ad Agrigento, nell’agosto del 2003, è stata vissuta ancora una volta ma la vittima era Carmelo Milioti, amico del “pentito di mafia” Giovanni Brusca. Fortunatamente la figura del barbiere ha assolto nel tempo a compiti ben più pacifici nell’am¬bito della società. La sua bottega, luogo deputato non soltanto ad un uso “igienico” ma di socialità, di incontro, di scambio culturale. E tra le attività “collaterali” che si svolgevano all’interno del salone, “spesso sconfinava nel gossip-. Sui fatti di cronaca in una società prevalentemente contadina e analfabeta, il barbiere e i suoi avventori più colti (medico, farmacista, maestro delle scuole elementari, avvocato, barone) consegnavano attraverso le loro parole le informazioni di natura politica, di cronaca – soprattutto nera – e sportiva che altrimenti i compaesani non avrebbero mai potuto leggere dai giornali, quotidiani e riviste, che puntualmente si trovavano in quello che era appunto anche e principalmente una specie di circolo. Un luogo in cui quasi solo per caso o per rispetto per l’ospitalità ricevuta, qualche volta ci si faceva radere la barba o accorciare i capelli. Anche perché i clienti – contadini appunto – subito dopo l’alba, prima di recarsi al duro lavoro nei campi, facevano un salto da quella che era insieme bottega e casa per farsi “tosare” il collo in cambio di uova, formaggi, olio, polli, beni in natura, insomma con i quali tra l’altro, si garantiva il servizio di “barba e capelli” a tutti i membri della famiglia. Nei pomeriggi assolati o in quelli piovosi la vita del salone e dei paesani si svolgeva sulle sedie poggiate alle pareti del locale e si discuteva fino a quando qualcuno tirava fuori una chitarra, un mandolino, un violino, una fisarmonica. E giù tutto un repertorio che non necessitava di spartiti musicali. Si andava “a braccio” e le melodie erano struggenti. Da sottofondo il ritmo sincronico delle sforbiciate tra i capelli di un qualche avventore che con questo suo gesto sacrificale “farsi tagliare i capelli” ricompensava della musica e ancora una volta dell’ospitalità. Tesoro in via di estinzione questo delle musiche, da recuperare. Abitudine scomparsa dietro i neon delle insegne in lingua francese o inglese che hanno sostituito le tende all’ingresso delle botteghe da barbiere fatte di piccole canne vuote, familiarmente tintinnanti e preludio di una società ancora in attesa di nuove emozioni-magari offerte attraverso il profumo trasgressivo dei calendarietti al patchouli che sottobanco venivano regalati ai clienti affezionati durante le festività natalizie e agli adolescenti come sorta di iniziazione ai segreti e alle delizie dell’amore. Anche Leonardo Sciascia ne “Il giorno della civetta” parla del barbiere e lo fa in termini di confessore, di tenutario di segreti e di indiscrezioni e insieme di confidente, di informatore. Vitaliano Brancati, invece, lo descrive nel suo “Diario romano” come “…prototipo di eleganza e di argutezza..” magari umile, modesto ma “…sereno come un medico da cui aspettarsi più che una rasatura, una diagnosi…”. In effetti per secoli attività collaterale tutta del barbiere, era quella del cerusico, del medico che cavava i denti (a volte rovinosamente) e che operava salassi. Nel Medio Evo e nel Rina¬scimento si occupavano della “bassa medicina” ed erano iscritti alle Corporazioni dei medici e degli speziali. Tra questi, vi erano Dante Alighieri e il poeta Domenico Di Giovanni, conosciuto come il Burchiello. Insomma, tra una rasatura e un taglio, tra una pennellata e una affilatura di rasoio, tra un discorrere di “corna” (tradimenti coniugali) vere o presunte di un qualche cliente o delle nuove leggi agricole o dei fatti di cronaca nera più cruenta, c’era il tempo per una mandolinata, per una cantata, per dare voce all’istinto e alla vocazione artistica degli avventori o del padrone stesso. Perdere questo patrimonio etnoantropologico sarebbe stato un vero peccato, anche perché non ci sono documenti scritti, né spartiti musicali tramandati. La sola memoria è omerica, orale. L’Assessorato dei Beni Culturali e Ambientali e della Pubblica Istruzione della Regione Siciliana ha finanziato e pubblicato nel 2008 insieme alla casa-museo Antonino Uccello di Palazzolo Acreide e all’Unione Europea, un libro/CD dal titolo – Musica dai saloni- che comprende 20 sonate dei barbieri ed è stato curato da Gaetano Pennino (direttore del museo Antonino Uccello) e da Giuseppe Maurizio Piscopo. Queste antiche sonate sono state restituite alla luce a seguito di un accurato e lungo lavoro di ricerca negli archivi e nella memoria dalla Compagnia di canto e musica popolare. Giuseppe Calabrese, Mimmo Postillo, Lorena Vetro, Antonio Lentini, Pasquale Augello e Maurizio Piscopo hanno recuperato e riprodotto brani strumentali di rara bellezza, da 50 anni caduti nell’oblio ma che è importante conoscere per non dimenticare ciò che siamo, ciò da cui proveniamo. Andrea Camilleri, il noto scrittore e “padre” del commissario Montalbano che ha scritto il prologo del libro, cita il salone di don Nonò, il barbiere di famiglia, della sua famiglia, e racconta di avere da sempre una certa avversità nei loro confronti a causa di una brutta esperienza risalente all’età di circa sei anni. L’aiutante di don Nonò un giorno arriva trafelato reggendo in mano una tazza. Di corsa nello sgabuzzino a rovesciare il contenuto della tazza in un pentolino colmo a metà di sale. Quattro orrendi vermi (le sanguisughe) che cominciano a vomitare sangue tingendo di rosso il bianco sale. Involontario spettatore il piccolo Andrea che fugge via di corsa, da solo, verso casa. Da allora, confessa, avrà frequentato un salone sì e no una ventina di volte soltanto e, avendo più di ottanta anni, non è un gran numero. Ricorda, sempre nel prologo, che nel 1942, i fascisti proibirono di suonare musica presso i barbieri perché l’unica ammessa erano marce e inni patriottici. Ma il libro è anche una antologia di ricordi e il florilegio è composto da scrittori, giornalisti, poeti, testimoni e insieme spesso protagonisti di queste storie come Giuseppe Quatriglio, Matteo Collura, Gaetano Savatteri, Melo Freni, Giacomo Pilati e fotografi soprattutto Melo Minnella, un grande artista della fotografia e proprietario di uno straordinario archivio. Ognuno ha portato la propria testimonianza personale, diversa da quella degli altri ma tutte hanno in comune lo stesso filo conduttore: la nostalgia per il tempo andato e la consapevolezza di un bisogno di recupero per non perdere definitivamente una memoria unica, irripetibile che è lo specchio delle nostre radici, un patrimonio insostituibile perché parte di una società e di un modo di vivere che non può più ritornare. Così come non possono più tornare le serenate che, notturna concorrenza alle cicale, nelle notti insonni di innamorati frementi che per voce e mano dei barbieri e dei suoi musici sotto la finestra dell’amata innalzavano canti struggenti, dichiarazioni di pudiche e inconfessabili passioni, ardue ma tollerate grazie alla complicità della dolce melodia affidata alla sapienza, all’esperienza e alla sensibilità del barbiere. T. Di Fresco
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