Regione Siciliana
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Dipartimento dei Beni Culturali e dell'Identità siciliana

Soprintendenza del Mare
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ARCHAEOLOGICAL UNDERWATER SURVEY IN JAPAN
OJIKA ISLAND, AUGUST 2010
RISULTATI FINALI


Dal 20 al 29 agosto 2010 si è svolta la seconda campagna della Missione Archeologica Italiana in Giappone organizzata dalla Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana e dall’Università di Bologna e da Archeologiattiva s.c.a r.l., diretta da Daniele Petrella e Sebastiano Tusa, in collaborazione con l’Asian Research Institute of Underwater Archaeology sotto la direzione di Hayashida Kenzo. Le ricerche e lo scavo subacqueo hanno avuto luogo nelle acque della Baia di Maegata, non lontano dal Capo Kusukuri, sulla costa occidentale del’isola di Ojika, prefettura di Nagasaki (Kyushu, Giappone meridionale). Le ricerche in queste acque erano già iniziate nel 2001 portando all’individuazione di importanti reperti e consistenti indizi (ceramiche, ceppi d’ancora, ecc.) pertinenti naufragi ed ancoraggi compresi cronologicamente principalmente tra il XII ed il XIV secolo in gran parte di provenienza cinese. E’ sulla base di tali indizi che il direttore della Missione Archeologica Giapponese Prof. Kenzo Hayashida dell’ARIUA, pensa che tale baia possa essere stata una delle aree costiere dove andò ad impattare la flotta di Kubilai Khan, imperatore mongolo della Cina, nel 1281, in occasione del tentativo di invasione del Giappone fallito a causa di un tifone. Un primo tentativo di invasione dell’arcipelago giapponese era stato condotto da Kubilai Khan nel 1274. Ma era fallito non tanto per un disastro marittimo quanto per il probabile ritiro di parte delle forze in campo che comportarono sconfitte terrestri come quella di Hakata (nell’ambito della moderna Fukuoka). E’, infatti, probabile che la flotta sia affondata in vari punti lungo le coste occidentali del Giappone meridionale laddove l’isola di Ojika (come tutto l’arcipelago di Goto, di cui fa parte) occupa un posto strategicamente interessante. Il secondo tentativo fallì quasi certamente a causa di un tifone che ebbe disastrose conseguenze sulla flotta. Ma è probabile che a determinare il disastro siano state anche ristrettezze economiche e dissidi interni alla corte imperiale. In tale clima d’incertezza la flotta dovette essere allestita in fretta e con materiali non appropriati. Infine è da tenere a mente che la struttura delle navi era stata ideata soprattutto per la navigazione fluviale. Tracce consistenti e comprovate del disastro navale della flotta di Kubilai Khan sono state rinvenute nella baia Imari, nei mari dell’isola di Takashima, posta più a Nord di Ojika e dell’arcipelago di Goto. I reperti raccolti durante le ricerche a Takashima hanno permesso di avere non soltanto la prova della presenza dei relitti pertinenti la sfortunata spedizione del 1281, ma anche di recuperare consistenti porzioni di parti lignee d’imbarcazione che hanno consentito a Daniele Petrella di ricostruire la struttura e le sembianze di una delle navi della sfortunata flotta. I rinvenimenti effettuati nel corso degli scavi nella baia di Maegata a Ojika hanno permesso, pertanto, di ipotizzare con consistente certezza che anche in questa baia abbiano trovato la tragica fine alcune delle navi della flotta del Gran Khan.


il team italiano


documentazione delle fasi di sorbonatura
fase di sorbonatura

ciotola giapponese in porcellana con decorazione blu
ciotola cinese frammentaria a vernice grigia

Tuttavia le ricerche hanno anche permesso di identificare le tracce di ulteriori naufragi o ancoraggi nella baia di navi di varie epoche che conducevano commerci tra le coste della Corea e della Cina e questa parte insulare del Giappone. A tal proposito è bene sottolineare la strategica posizione dell’isola di Ojika quale ponte naturale nelle rotte di collegamento tra la Corea, la Cina ed il Giappone meridionale. Già nel corso della campagna 2009 i ricercatori ed i tecnici subacquei italiani e giapponesi, effettuando scavi subacquei con sorbona ed effettuando sistematiche ricognizioni dei fondali della baia, hanno identificato e recuperato numerose ceramiche, tra cui principalmente ciotole cinesi invetriate verdi della classe “blue celadon” (giap.: seiji) e bianche insieme a vasi d’uso corrente di fabbricazione cinese e giapponese. In particolare si segnala il rinvenimento di ciotole provenienti dalle provincie cinesi di Long quan e Zhe qian, nonché di ceramiche di fabbricazione giapponese inquadrabili nella classe Suribaji. Si segnala anche il rinvenimento di una ciotola cinese recante all’interno un cartiglio con formula augurale costituita da quattro ideogrammi la cui traduzione è: “che la vostra casa possa essere ricca di soldi e gioielli”. A tali recuperi si aggiungono i reperti già rinvenuti nelle scorse campagne dai colleghi giapponesi (tra cui 17 ancore cinesi del tipo a singola marra in pietra o doppia, alcune delle quali pescate dagli Ama, pescatori di abaloni e cone shell) che contribuiscono a rafforzare l’idea che tale zona e l’isola di Ojika fosse situata in posizione strategica sia per la localizzazione di una delle possibili aree di naufragio della flotta di Kubilai Khan, che per analizzare e conoscere più appropriatamente i commerci ed i contatti sino-coreano-nipponici tra il XII e XIII secolo. La campagna del 2010 ha visto i ricercatori italiani e giapponesi, cui si sono aggiunti alcuni volontari subacquei coreani ed una giovane studentessa francese, proseguire nell’attività di scavo al centro della baia di Maegata in un’area densamente occupata da vasche per l’allevamento di blue fish e tonno. E’ per tale presenza che lo scavo è stato particolarmente difficile poiché le acque, già non particolarmente limpide, risultano torbide proprio per la presenza delle adiacenti vasche. Tuttavia sono state scavate due trincee rettangolari (T3 e T4) adiacenti, lunghe m 5 e larghe m 2, con andamento Nord-Sud, poste lungo una linea base di m 50, orientata in senso Nord-Sud, che ha costituito, nel corso delle varie campagne, la base per la disposizione di successive trincee di scavo. All’interno delle trincee si è scavato stratigraficamente evidenziando un primo strato biancastro di circa 20 cm costituito da sabbia e ghiaia molto sciolte con discreta presenza di valve di molluschi e la quasi totale assenza di reperti d’interesse archeologico al di la di un frammento di una piccola ciotola giapponese in porcellana con decorazione blu esterna con motivi floreali reticolari, databile alla fine del XVII secolo (tardo periodo Edo). Al di sotto si è identificato uno strato di circa cm 20 di spessore molto compatto e bruno dove compaiono i reperti d’interesse archeologico pertinenti un periodo compreso tra l’XI ed il XIII secolo. Al di sotto di tale strato ne compare un altro biancastro simile a quello superficiale, privo di reperti d’interesse archeologico e ricchissimo in valve di molluschi.

spoletta per la riparazione delle reti
porcellana cinese

ciotola a vernice bianca (Hakaji) di provenienza cinese
preparazione delle strumentazioni di ricerca

Tra i reperti identificati e recuperati si segnala, oltre alla ciotola summenzionata, una ciotola a calotta su alto piede ad anello, pressoché integra, a vernice bianca (Hakaji) di provenienza cinese, databile all’XI-XII secolo e frammenti di ceramiche comuni giapponesi pertinenti piccole ciotole a superficie opaca. Particolarmente significativa è la presenza di una ciotola frammentaria a vernice grigia databile alla fine dell’XI secolo (dinastia dei Sung meridionali), proveniente dalla provincia del Fujian (Cina del Sud). Interessante è anche il rinvenimento di una spoletta ricavata levigando una tibia di suino, con forcella distale adoperata per la riparazione delle reti. Sono state anche rinvenute numerose ossa quasi tutte pertinenti suini (scapola, mandibola, ossa lunghe etc.) che vanno interpretate come residui di cambusa. Pochi frammenti di legno potrebbero essere pertinenti a parti di navi residue. E’ evidente che i reperti rinvenuti costituiscono un’ulteriore conferma della probabile presenza nella Baia di Maegata di probabili relitti pertinenti la sfortunata flotta di Kubilai Khan. Le ceramiche raccolte, infatti, datano al periodo in questione e ben si inquadrano nelle dotazioni di bordo della flotta, così come le ossa riferibili ad animali trasportati sulle navi per sopperire ai bisogni alimentari delle ciurme. Parallelamente alle attività di scavo si è effettuata una sistematica campagna di ricognizione con sonar a scansione laterale (frequenza 340 Khz) sia nelle acque della Baia di Maegata che in alcune zone adiacenti le coste settentrionali e meridionali dell’isola di Ojika. Tale ricognizione è stata effettuata grazie all’impegno di Fabio Iorio della Westend e Gaetano Donnabella della Teknomar, entrambe società specializzate nell’informatica e nella ricerca applicata al mare con sede a Napoli. Le ricognizioni sono state effettuate trainando il sonar con imbarcazione a motore effettuando strisciate ricognitive con ampiezza di 30 e 50 metri laterale, posizionate su carta mediante GPS. Le numerose anomali identificate con il sonar sono state successivamente investigate con immersioni mirate. Nella quasi totalità dei casi le anomalie si sono rivelate elementi naturali quali pietre isolate di particolare conformazione regolare o cumuli o elementi artificiali moderni. In due casi, situati al centro dello spazio di mare compreso tra l’isola di Ojika e la più piccola di Oshima a Sud-Ovest, sono stati individuati due cumuli regolari di pietrame costituiti da piccoli blocchi di omogenea dimensione raggruppati in modo da creare due figure ovali con le estremità assottigliate dalle dimensioni rispettivamente di metri 12 di lunghezza x metri 5 di larghezza e metri 35 x metri 7. I due cumuli di pietre danno l’impressione di essere zavorre di vascelli affondati sia per la loro forma che per l’omogeneità della tipologia e dimensione del pietrame. Tuttavia soltanto un’approfondita indagine mediante limitati sondaggi di scavo potrà offrire elementi utili per l’identificazione esatta dei due elementi. A tal proposito è bene ricordare che in questo spazio di mare sono avvenuti due naufragi che permangono nella memoria anche grazie a due rispettivi monumenti eretti in memoria delle vittime sull’antistante costa di Ojika. Si tratta di due naufragi avvenuti un paio di secoli fa riguardanti una nave olandese ed una coreana. In margine alle attività di ricerca è stata anche effettuata una prova d’istallazione di telecamera fissa sul fondo del mare nella Baia di Maegata, in prossimità dell’area di scavo. Tale prova è stata richiesta dagli amministratori del comune di Ojika al fine di valutare la possibilità di istallazioni fisse del genere in funzione dello sviluppo turistico dell’isola. Si è proseguita l’attività di ricerca e documentazione delle tradizioni e dei sistemi produttivi tradizionali dell’isola di Ojika. Oltre allo studio ed alla documentazione dei materiali conservati nel locale museo, si è effettuata la ricognizione di alcune attività degli abitanti dell’isola coordinata da Valeria Li Vigni, direttrice del Museo di Palazzo d’Aumale di Terrasini. In particolare si è documentata la tradizionale manipolazione del pesce mediante conservazione per affumicamento e salagione. Si è anche documentata la coltivazione del pregiato mollusco marino Abalone particolarmente presente nei mari circostanti. Di particolare interesse è stata la ricerca delle tracce di una delle più cospicue attività economiche dell’isola fino a oltre cento anni fa: la caccia alla balena. La memoria di tale attività, completamente scomparsa nei ricordi della gente, rivive nel vecchio porto ove i grandi pelagici venivano trasportati dopo la cattura, issati in terra e sezionati, così come in vecchie stampe ed in qualche mannaia ancora conservata nel locale museo. Ma rivive anche nel pittoresco piccolo cimitero dei balenieri nell’entroterra dell’isola. L’economia dell’isola è oggi divisa tra terra e mare. Il settore agricolo è particolarmente fiorente così come quello dell’allevamento del bestiame. Nella coltivazione del riso e nell’allevamento bovino si percepiscono pochi ma significativi elementi di tradizione che abbiamo prontamente documentato. Ciò che ha caratterizzato maggiormente i lavori della missione archeologica italiana è stata la fervida e fruttuosa collaborazione tra archeologi e tecnici giapponesi, basata su una fortissima coesione e capacità di lavoro comune che si sono create grazie all’atmosfera di fervida collaborazione ed alla squisita e calorosa ospitalità giapponese. Informato dei risultati della Missione Archeologica Italiana in Giappone l’Assessore Prof. Gaetano Armao si è congratulato per i risultati raggiunti che contribuiscono ad elevare il prestigio della nostra Regione al livello internazionale, a rafforzare i legami tra Sicilia ed Estremo Oriente, recentemente intensificati grazie all’Expo di Shangai, e a dare un apporto all’incremento dell’esportazione dei prodotti siciliani in Giappone.

la zona indagata dai tecnici Teknomar e Westend con l'utilizzo del side scan sonar

indagini strumentali
indagini strumentali

briefing pre immersione
Hayashida Kenzo e Daniele Petrella

il team italo-giapponese

La Missione, supportata e finanziata per una piccolissima parte dal Ministero per gli Affari Esteri, per la parte italiana e dalla Nippon Foundation, per la parte giapponese, con la sponsorizzazione tecnica (apparati fotografici e custodie subacquee) di Isotecnic, ha trovato ulteriori spunti di sviluppo che ha condiviso con gli amministratori di Ojika. Tra questi vi è l’organizzazione di un itinerario archeologico-culturale subacqueo, la creazione di un Parco/Museo subacqueo con l’applicazione di telecamere per la visita virtuale, come quelli sviluppati in Sicilia dalla Soprintendenza attraverso l’applicazione di tecnologie prodotte dalle imprese campane Westend e Teknomar. Con gli amministratori locali di Ojika è stato anche discusso lo stato delle procedure per il gemellaggio tra l’isola di Ojika e di Pantelleria, già ampiamente trattato e consolidato grazie alla trasferta a Pantelleria della delegazione giapponese guidata dal sindaco di Ojika, effettuata nel maggio del 2010.
I componenti della missione:
Sebastiano Tusa, archeologo subacqueo direttore (Soprintendenza del Mare)
Daniele Petrella, archeologo subacqueo direttore (Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” – Archeologiattiva s.c.a r.l.)
Valeria Li Vigni, antropologo subacqueo (Museo d’Aumale, Terrasini)
Pietro Selvaggio, archeologo subacqueo (Soprintendenza del Mare .- Università degli Studi, Bologna)
Salvo Emma, tecnico subacqueo (Soprintendenza del Mare)
Salvatore Agizza, archeologo subacqueo (Università Suor Orsola Benincasa di Napoli – Archeologiattiva s.c.a r.l.)
Gaetano Lino, ingegnere subacqueo (Soprintendenza del Mare)
Floriana Agneto, tecnico subacqueo (Soprintendenza del Mare)
Gaetano Donnabella, tecnico subacqueo – Teknomar, Napoli
Fabio Iorio, tecnico informatico – Westend, Napoli
Carlo Curaci, fotografo (Soprintendenza del Mare)
Paolo Pecci, studente in archeologia (Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”)
isotecnic
La Soprintendenza del Mare utilizza per le riprese video fotografiche subacquee sistemi di illuminazione e scafandrature ISOTECNIC
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