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Egadi 2013 - Presentati i risultati delle ricerche
Un elmo bronzeo del tipo montefortino, quattro anfore greco italiche e un rostro romano di bronzo, classificabile entro le tipologie già note con i nomi dei questori in carica e decorazioni di Vittoria alata e di elmo piumato: sono il bilancio della Campagna di ricerche Egadi 2013 che da alcuni anni riporta alla luce autentici brani di storia antica riguardante la Battaglia delle Egadi, che sancì la vittoria romana nella Prima Guerra Punica. Gli importantissimi reperti sono stati rinvenuti a circa 80 metri di profondità nelle acque delle Isole Egadi, al largo di Capo Grosso di Levanzo. Altri reperti attendono negli abissi dell’arcipelago ma molti di essi, scoperti durante le ricognizioni effettuate mediante scansione sonar, sono stati documentati e classificati grazie alle tecnologie messe a disposizione dalla RPM Nautical Foundation, diretta da George Robb jr, in convenzione con la Soprintendenza del Mare. Le ricerche sono state condotte da un team italo americano composto da Sebastiano Tusa - che insieme a Jeff Royal dirige le ricerche - con la consulenza di William Murray (University of South Florida), dal coordinatore tecnico Stefano Zangara, Salvatore Palazzolo e Francesca Oliveri della Soprintendenza del Mare.



A conclusione dell'annuale campagna di ricerca, giorno 11 luglio 2013 il Soprintendente del Mare Sebastiano Tusa, insieme ai membri dell'equipe scientifica, ha illustrato i risultati a Trapani (banchina del porto), a bordo della nave oceanografica Hercules della RPM Nautical Foundation. In occasione dell’evento sono stati esposti i reperti recuperati nell’ultima campagna di ricerche. L’ultima operazione, prevista in questi giorni, prevede il recupero del secondo rostro individuato e posizionato in questa campagna di ricerca sempre nella stessa area e che verrà, assieme agli altri reperti recuperati, custodito presso i laboratori tecnici della Soprintendenza del Mare per i primi studi e i primi interventi conservativi di restauro. Le operazioni sono state condotte in collaborazione con la Capitaneria di Porto di Trapani, con i sommozzatori della Guardia Costiera, con la Soprintendenza per i Beni culturali di Trapani, con l’Area Marina Protetta delle Egadi, con la Shipping Agency di Luigi Morana, e con la marineria locale, i diving, i subacquei, l’Associazione Culturale Tempo Reale.


La Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana ha realizzato negli ultimi anni, in collaborazione di RPM Nautical Foundation, una minuziosa ricognizione delle acque dell’arcipelago delle Egadi e del trapanese. Ininterrottamente, dal 2005 ad oggi, le acque antistanti le tre isole dell’Arcipelago delle Egadi sono state analizzate sistematicamente e anche per questa ultima campagna, iniziata il 14 giugno 2013 e conclusasi in questi giorni, è stata utilizzata per le operazioni in mare la nave R/V Hercules, imbarcazione oceanografica a posizionamento dinamico (DPS) dotata di sistemi di ricognizione elettroacustica e visive di ultima generazione. In questa nuova fase in particolare è stato usato, per la prima volta in Italia, un particolare sonar a scansione laterale per l’individuazione sul fondale di elementi d’interesse storico-archeologico. Questo innovativo strumento che lavora in profondità montato su una particolare struttura metallica è stato portato in Sicilia da John Henderson del Dipartimento di Archeologia dell’Università di Nottingham con la collaborazione dell’Ingegnere Geofisico Brian Abbott della Nautilus Marine Group e ci ha consentito di tracciare, con il suo particolare sistema di scansione a 360°, ancor meglio e con una precisione millimetrica i fondali che furono i luoghi che il 10 marzo del 241 a.C. videro lo scontro finale della Prima Guerra Punica. Contemporaneamente, in una prima fase di ricognizione visiva, effettuata per il completamento dell’indagine in aree fino ad adesso non ancora indagate, con l’ausilio del ROV è stato individuato Egadi XI; con il dodicesimo rostro, già individuato e in fase di recupero proprio in questi giorni, si aggiunge alla ormai numerosa collezione della Soprintendenza del Mare.










Il contesto storico-archeologico della battaglia delle Egadi
Delle grandi battaglie dell’antichità quella che più di ogni altra ha avuto l’onore della cronaca per le interessanti scoperte archeologiche subacquee a essa attribuibili è quella delle Egadi. Il 10 marzo 241 a.C. un forte libeccio soffia sulla cuspide occidentale della Sicilia foriero di un epocale cambiamento politico per l’isola e per l’intero Mediterraneo facendo intravedere austera e vincente la fisionomia di Roma. La battaglia delle Egadi descritta da Polibio e da molti altri storici antichi conclude la lunga prima guerra punica grazie ad una svolta impressa dall’audace ammiraglio Lutazio Catulo che sblocca una situazione di stallo nella quale i due contendenti si erano trovati da tempo. I luoghi d’interesse archeologico pertinenti la battaglia si trovano lungo la costa rocciosa orientale dell’isola di Levanzo che si presenta ripida e omogenea tra la Cala Calcara e Capo Grosso fornendo un prezioso rifugio alla flotta romana invisibile a quella cartaginese che proveniva da Occidente (Marettimo). L’omogeneità costiera si trasferisce anche ai fondali che si presentano degradanti e rocciosi fino a raggiungere la spianata sabbiosa intorno ai cinquanta metri. Tuttavia, in prossimità del limite meridionale e settentrionale di questa scogliera il fondale si articola ed è lì che ancora resistono le vestigia romane in parte attribuibili alla battaglia delle Egadi e in particolare alla zona di ancoraggio della flotta romana di Lutazio Catulo che sconfisse i Cartaginesi. Vi sono, infatti, numerosi ceppi d’ancora in piombo, localizzati sui fondali rocciosi degradanti verso Nord, compresi tra i 20 ed i 30 metri (in un’area di oltre 500 metri quadri), a circa 100 metri dalla costa nello spazio di mare a ridosso della punta più settentrionale di Levanzo, caratterizzata dall’incombente mole di Capo Grosso a picco sul mare. I veri protagonisti di quel mortale attacco dovettero essere i rostri applicati alle trireme, nave da guerra tra le più diffuse nell’antichità dall’epoca greca arcaica, di probabile derivazione dalla pentecontera e progenitrice delle galere medievali e moderne. Si diffuse tra i Greci, i Fenici, i Cartaginesi e infine anche presso i Romani. Tre file di rematori sovrapposte, con i remi leggermente sfalsati tra loro, le davano una formidabile propulsione in battaglia agevolata anche dallo scafo filante con un rapporto lunghezza /larghezza ottimale che poteva raggiungere anche i 40 x 6 metri. Poteva navigare anche sospinta da una vela rettangolare. L’equipaggio nelle trireme più grandi poteva raggiungere i 200 uomini, di cui la maggior parte rematori e il resto fanti, arcieri e addetti la governo della nave. Era molto manovrabile e veloce raggiungendo anche gli 8 nodi. La sua arma letale era il rostro a tre fendenti taglienti e contundenti che si allungava a prua sul pelo dell’acqua. La trireme, lanciata a velocità sulle navi nemiche, determinava con il colpo del rostro squarci letale nelle navi nemiche o ne annullava la forza distruggendo le file di remi e le relative fiancate. Da quando la Soprintendenza del Mare ha intensificato le ricerche nell’area della battaglia sono venuti fuori ben undici rostri a tridente diversi da quelli descritti dalla Frost, che hanno offerto la prova dell’esattezza del luogo dello scontro indicato nell’area a Nord di Capo Grosso di Levanzo. I rostri s’inserivano, coprendola, sull’intersezione di alcuni elementi lignei convergenti che erano il dritto di prua, la chiglia e le cinte basse. Erano assicurati alla parte lignea dello scafo mediante chiodi. La parte anteriore del rostro era costituita da ben tre fendenti laminari orizzontali rinforzati da un possente fendente verticale. Con questo micidiale multiplo fendente, scagliato con forza sulle fiancate delle navi nemiche, la nave da guerra dotata del rostro determinava l’ingovernabilità e l’affondamento di quella nemica grazie alle falle che generava.

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