PARLARE DI BIOETICA, LADDOVE L’ETICA E’ LATITANTE.

Viviamo in un'epoca assai strana. Da più parti si sente di continuo parlare di “valori non negoziabili” mentre la realtà che abbiamo sotto gli occhi ci rivela quotidianamente che qualunque valore, financo il più intimo e prezioso, è diventato negoziabile, anzi più che negoziabile, è una consolidata merce di scambio attraverso la quale si consumano le transazioni più invereconde.
Su uno dei piatti della bilancia ci stanno sempre il denaro o il potere, che hanno, nel corso del XX secolo, sempre più ridotto alla propria misura qualunque altra realtà, qualunque altro valore, qualunque idealità o strategia l'animale uomo abbia elaborato ed espresso nel corso della storia per conferire senso alla propria vita e al mondo che lo circonda, per sfuggire alla propria natura attraverso forme di cultura capaci di farlo interagire con i propri simili.
La bioetica, così com'è venuta affermandosi nel mondo moderno meno di cento anni or sono (se, come pare, la coniazione del termine sia da attribuire a Fritz Jahr, che parlò nel 1927 di «imperativo bioetico», secondo il quale tutti gli esseri viventi devono essere trattati non come mezzi, ma come fine in sé stessi, in ciò riprendendo idee già espresse da Immanuel Kant), si pone proprio il problema di esaminare tutte le problematiche in cui si evidenzi con maggiore drammaticità lo scarto tra quello che gli uomini dicono di fare e quello che essi realmente fanno.
E' dunque, in un certo senso, una filosofia, ma una filosofia che si pone a interrogare le scienze e rammentare sempre che al di là dei progressi che esse perseguono nelle varie branche che le definiscono l'uomo rimane lo stesso, una realtà fragile il cui essere nel mondo costringe sempre di nuovo a ricercare e sperimentare - col maggior numero possibile di propri simili nel migliore dei casi - forme accettabili di “dover essere”.
Il carattere interdisciplinare di questa disciplina la rende ostica alla maggior parte delle persone; si può discorrere di bioetica a proposito di fatti medici, biologici, genetici, scientifici, tecnologici, politici etc.
E' proprio l'ambito connesso alla salute e alla malattia, alla vita e alla morte, a tutte le fattispecie insomma che investono le realtà più profonde della condizione umana, che ha impegnato negli ultimi decenni le questioni bioetiche più controverse. Che si sia discorso di aborto o di ingegneria genetica, di eutanasia o di sperimentazione sulle cellule staminali, di pratiche anticoncezionali o di testamento biologico, in tutte queste problematiche si sono di fatto venute contrapponendo concezioni e idee diverse sulla libertà individuale e sulla “natura umana”, in relazione alla quale si registrano due opposte visioni del mondo: la prima è quella di chi ritiene che esista una corrispondenza stabile, netta, definita una volta per tutte tra cultura e natura. Secondo tale concezione, quasi sempre derivante da equazioni di ordine religioso, la “natura umana”, in quanto creata da Dio, è immutabile, quindi sono “contro natura” tutte le forme di cultura che non rispettino tale “agganciamento” della struttura del mondo sociale all'ordine del mondo naturale, laddove si ritenga legittimo attribuire anche al "nostro" mondo quella stabilità e permanenza che osserviamo più facilmente in quello naturale.
La seconda ritiene viceversa che la vera “natura umana” sia la cultura, la quale pertanto crea sempre di nuovo le proprie forme secondo criteri derivanti dalle condizioni climatiche, ambientali, socio-economiche, antropologiche in senso lato, nelle quali i gruppi umani si trovano a vivere e operare.
Si tratta, in questo caso, di una concezione relativista, che quasi sempre oppone alla visione creazionista (un mondo fatto di uomini creato in base a principî immutabili nella loro sostanza) un'idea della cultura umana in grado di esprimere sempre nuove forme di adattamento, di equilibrio, con la corrispondente nascita di sempre nuovi “valori”, intesi come concezioni del desiderabile in grado di fornire risposte nuove a domande sempre nuove.
Forse è giunto però il momento che i seguaci dell'essere e quelli del divenire provino a tentar di comprendere gli uni le ragioni degli altri, se - come tutti auspichiamo - le questioni bioetiche non debbano essere sollevate per affermare contraddittoriamente astratte ideologie ma siano finalizzate a fornire risposte concrete e “umane” a persone alla perenne ricerca di senso.
La bioetica è infatti divenuta uno dei campi di lotta ideologica più frequentati negli ultimi anni; e, quel che è più singolare, frequentati dai politici assai più che dagli scienziati. Le ragioni di ciò sono intuibili, gli esiti del tutto deleteri, in quanto sul campo di battaglia sono rimaste, per lo più, le spoglie innocenti di uomini e donne incappati in questa fitta - e ipocrita - rete di opposte, strepitanti ideologie.
Come ritornare ad una riflessione bioetica fatta per l'uomo e non per il sabato (secondo quanto ci ammoniva duemila anni fa un giovane Galileo assai interessato a questi problemi)? E c'è la maniera di costruire sistemi di valori condivisi che non conducano a barricate integraliste?
Il Cortile dei Gentili di maggio proverà a dibattere su tali tematiche attraverso due illustri relatrici-introduttrici, entrambe provenienti dall'Ateneo messinese: Giusi Furnari Luvarà, Docente di Storia della Filosofia, e Marianna Gensabella, Ordinario di Filosofia Morale.

Sergio Todesco

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