IL SACRO DEGLI ALTRI
Religioni migranti di Sicilia

La mostra che qui si presenta - una serie di straordinarie immagini provenienti da svariate località siciliane - documenta in tutta la sua variegata fenomenologia la quantità e qualità dei culti introdotti nella nostra isola dalle comunità di migranti che a vario titolo ne hanno negli ultimi decenni arricchito il panorama demografico.

Il messinese Attilio Russo, amatore evoluto della fotografia, ci offre con questo incredibile portfolio una dimostrazione di come il nostro territorio sia divenuto luogo di pratiche sacrali e di atti di interlocuzione con la divinità posti in essere da comunità impartecipi delle nostre fedi e delle nostre tradizioni. E lo fa con uno sguardo “antropologico” cui sono sottese un’umana partecipazione, una lucida comprensione delle culture tutte, la cui mirabile varietà non viene mai avvertita come un problema quanto piuttosto come un arricchimento.

Qualunque discorso sui migranti impone dure considerazioni. Dure perché riflettere sul tema è come riflettere sul coltello acuminato che sta conficcato nel cuore del civile Occidente e, scavando, lo interpella sul suo reale volto, sulla sua storia passata e presente, sui suoi destini futuri. Migranti dunque. E chi non lo è, nel mondo in cui ci troviamo? Per lo meno da Abramo in poi, chi ha voluto cercare - e trovare - una patria ha dovuto mettersi in cammino. Potremmo dire, con un po’ di paradosso, che chi non è migrante è già defunto non sapendo di esserlo.

Queste immagini ci sollecitano dunque una sommessa riflessione sulla diversità, quella che i razzisti di casa nostra aborriscono; la diversità degli altri è tale perché la storia dei diversi da noi ha preso altre traiettorie rispetto alla nostra storia. Ma tutte queste storie diverse sono, tutte quante insieme!, ciò che fa la bellezza, la varietà e la ricchezza del nostro pianeta (un pianeta meraviglioso, solo che si abbiano occhi e cuore per accorgersene).

Non esiste la barbarie, come reputano alcuni rozzi leghisti. Barbaro è chi crede nella barbarie degli altri prima ancora di averli incontrati e "sperimentati". Dunque, gli unici barbari sono quei rozzi italiani che ancora guardano con sospetto, paura, avversione chiunque non abbia la propria pelle e i proprî vizi.

Ernesto de Martino, il grande etnologo padre dell’antropologia italiana, ebbe ad affermare oltre mezzo secolo fa che questo nostro pianeta è divenuto troppo angusto - tanto velocemente ormai lo si attraversa! - per poter tollerare semplici coesistenze. Ciò comporta che nel panorama caratterizzante le nostre giornate storiche sia oggi necessario il riconoscimento reciproco e condiviso di una comune condizione umana, piuttosto che asettiche e indifferenti “tolleranze”.

Riflettendo sulla “dolcezza” sottesa a queste immagini, preziose anche ai fini di un auspicabile ecumenismo volto a creare uomini e donne pronti a condividere le ragioni delle rispettive fedi, si colgono i motivi di verità presenti nell’espressione “unità trascendente delle religioni” coniata da Frithjof Schuon per indicare il fondo esoterico comune che, al di là delle differenze, tutte le comprende. Tale fondo comune non si potrebbe forse meglio individuare che nella figura di un Dio il quale si prende cura di tutte le sue creature, amandole follemente!

Anche se ciascuna fede può legittimamente rivendicare per sé, e per sé sola, l’esclusiva detenzione della Verità, dobbiamo essere consapevoli che tale posizione conduce fatalmente a quell’integralismo che ha insanguinato e continua ad insanguinare il nostro tempo.

Ciò non significa, naturalmente, abdicare alla propria fede abbracciando un asettico relativismo, quanto piuttosto sforzarsi di leggere i semi di verità presenti in ogni tradizione religiosa, la quale però per essere credibile non può che prendere le distanze da qualunque tentazione integralista, atteggiamento quest’ultimo che – a ben vedere – si rivela sempre non essere altro in realtà che una strumentalizzazione della vera religione per fini di potere o di denaro (l’eterno “sterco del demonio”).

Un’ultima riflessione è doverosa di fronte a queste immagini. Si ritiene solitamente che una delle caratteristiche dell’identità debba essere la purezza. Niente di più falso, e di più ottuso! Secondo quanto ci ricorda un antropologo americano “i frutti puri impazziscono”! La nostra identità di siciliani è, naturalmente e storicamente, meticcia, miscelata e ibridata, frutto ed esito delle molteplici, benefiche “contaminazioni” che gli eventi storici e le conseguenti dinamiche acculturative ci hanno riservato.

In ogni caso, il rispetto per “il sacro degli altri” è una condizione irrinunciabile per accettare reciprocamente le diversità culturali e religiose, che tutte insieme compongono il variopinto mosaico di umanità, la cui bellezza sta probabilmente all’origine dell’atto creatore.

Sergio Todesco

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