Consumo, decrescita.
In un mondo con poche risorse è ancora possibile vivere
“de claritate in claritatem”?

“Lo sviluppo delle conoscenze preistoriche e archeologiche tende a disporre nello spazio forme di civiltà che eravamo propensi a immaginare come successive nel tempo. Il che significa due cose: anzitutto che il «progresso» (se questo termine è ancora adatto a designare una realtà diversissima da quella a cui era stato in un primo tempo applicato) non è né necessario né continuo; procede a salti, a balzi, o, come direbbero i biologi, per mutazioni […..]. L’umanità in progresso non assomiglia certo a un personaggio che sale una scala, che aggiunge con ogni suo movimento un nuovo gradino a tutti quelli già conquistati; evoca semmai il giocatore la cui fortuna è suddivisa su parecchi dadi e che, ogni volta che li getta, li vede sparpagliarsi sul tappeto, dando luogo via via a computi diversi. Quello che si guadagna sull’uno, si è sempre esposti a perderlo sull’altro, e solo di tanto in tanto la storia è cumulativa, cioè i computi si addizionano in modo da formare una combinazione favorevole”. Claude Lévi-Strauss, Razza e storia, 1952.

Già sessant’anni or sono Claude Lévi-Strauss aveva messo in dubbio la concezione unilineare e progressiva dello sviluppo delle civiltà. Circa un decennio più tardi, in Italia, Pier Paolo Pasolini, nella forma poetica che gli era propria, contestava l’identificazione tra “sviluppo” e “progresso”, segnalando profeticamente come la società dei consumi avrebbe sortito – come poi è di fatto avvenuto – quella devastante “scomparsa delle lucciole” che ha progressivamente impoverito gli orizzonti naturali e culturali dei nostri angoli di mondo, facendo smarrire le identità locali e producendo una perniciosa mutazione antropologica che ha arrecato danni alla qualità della vita e ai rapporti delle comunità con gli ecosistemi in cui esse sono inserite.

I moderni critici del consumismo e teorizzatori della decrescita felice (Nicholas Georgescu-Roegen, Serge Latouche, Cornelius Castoriadis, Jeremy Rifkin, Zygmunt Bauman e, qui in Italia, Maurizio Pallante), epigoni di quei lontani testimoni che hanno pionieristicamente avviato un processo di demitizzazione dello sviluppo fine a se stesso, partono proprio dalla considerazione che non ci sia rapporto di conseguenza tra crescita economica e benessere, e che anzi il consumo (o, meglio, il suo eccesso) conduce al peggioramento della qualità dell’esistenza degli uomini e della vita dell’intero pianeta.

Il Cortile dei Gentili di marzo cercherà di affrontare queste tematiche, nell’intento di suscitare nel suo pubblico la passione del dialogo e uno sguardo sempre più lucido e disincantato sulla realtà che ci circonda.

I relatori-introduttori al tema saranno l’On. Valentina Zafarana, Parlamentare presso l’Assemblea Regionale Siciliana, e il Prof. Girolamo Cotroneo, filosofo e Professore Emerito dell’Università degli Studi di Messina.

 

 

   Centonove                                          14 marzo 2014 pag. 35

   Gazzetta del Sud                               22 aprile 2014 pag. 26

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