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31-12-2004

LA REGIONE PARTECIPA ATTIVAMENTE ALL'ATTUAZIONE
DEL PIANO NAZIONALE
DELLA SICUREZZA STRADALE

 

Il Dipartimento, rappresentato dal dirigente del competente Servizio e dal funzionario responsabile dell’Ufficio del Piano della Sicurezza Stradale, ha preso recentemente parte alla seconda sessione plenaria indetta dalla Consulta Nazionale della Sicurezza Stradale, svoltasi presso la sede del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, appositamente convocata per fare il bilancio della politica della sicurezza stradale, realizzata nel corso del 2004, essendo in corso di definizione la Relazione annuale al Parlamento circa l’attuazione del Piano Nazionale della Sicurezza Stradale (PNSS) per la quale il Cnel è tenuto a rendere il prescritto parere.

In tale occasione la Consulta ha dedicato tale sessione ad una valutazione critica dei risultati sino ad ora conseguiti nonchè, in modo particolare, all’individuazione di quei correttivi, sia di carattere normativo sia di carattere tecnico, idonei a favorire lo sviluppo di interventi più efficaci o comunque suscettibili di agevolare il raggiungimento degli obiettivi prefissati dal PNSS.   

Da siffatta impostazione, a seguito di ampio dibattito tra i rappresentanti delle Amministrazioni presenti, ne sono scaturite tre sostanziali considerazioni che è possibile sinteticamente illustrare.

  1. GLI STRUMENTI PER COSTRUIRE UNA CULTURA DELLA SICUREZZA STRADALE

    Allo stato attuale emerge che nel nostro Paese le esperienze strutturate di costruzione sistematica di una cultura della sicurezza stradale, riferita all’insieme dei cittadini e, dunque, con prevalente riferimento alla popolazione adulta, appaiono marginali se non del tutto assenti.

    Tranne qualche caso limitato a componenti sociali particolari (ad esempio, gli anziani o i giovani che frequentano le discoteche), nel nostro Paese si ha esperienza di corsi di educazione stradale che coprono tutta la gamma di età dei minori, ma la popolazione adulta non sembra aver bisogno di comprendere le regole e la meccanica di una mobilità sicure per sé e per gli altri, al più avverte il bisogno di migliorare la propria abilità tecnica di guida.

    Una recentissima indagine promossa dalla Commissione europea (denominata SARTRE 3) e sviluppata in cooperazione da 24 Paesi europei, basata sull’esame di svariati aspetti dei comportamenti di guida collegati alla sicurezza stradale, ha rivelato, tra le molte altre cose, che poco più della metà dei cittadini europei si attribuisce una condotta di guida più sicura della media, mentre poco meno della metà una condotta di guida con un livello di sicurezza inferiore alla media.

    Se, quindi, in Europa mediamente si rileva una situazione di leggera autoindulgenza alla guida, in Italia la percezione dei livelli di sicurezza è clamorosamente errata: nel nostro Paese, infatti, il 77% dei conducenti è convinto di guidare in modo più sicuro della media e solo il 23% ritiene di guidare in modo meno sicuro della media.

    Dato, questo, meritevole di attenta riflessione in quanto, al di là del significato meramente statistico, rappresenta una generalizzata e preoccupante sovrastima del livello di sicurezza della propria guida e una incapacità diffusa a valutare correttamente i comportamenti a rischio.

    Se poi, a questo scenario, si aggiunge l’ulteriore dato secondo cui i nostri concittadini sono anche quelli che, in generale, subiscono meno controlli, è probabile allora che la consapevolezza del livello di sicurezza della propria guida sia direttamente correlata al numero di controlli e alla costante verifica del livello di sicurezza dei comportamenti di guida che tali controlli impongono.

    L’azione di controllo e di dissuasione, infatti, non ha solo il valore di evitare o di reprimere uno specifico comportamento a rischio da parte di un determinato utente della strada in un dato momento, ha anche una funzione di comunicazione-conferma dei valori della sicurezza stradale e tende a contrastare i comportamenti a rischio in generale, specialmente laddove l’azione di controllo sia percepita come capillare e sistematica al punto da determinare una sanzione certa dei comportamenti a rischio.

    Tuttavia è anche vero che una maggiore consapevolezza dei comportamenti di guida sicuri non la si ottiene solo attraverso i controlli di polizia e che non sempre i controlli di polizia rappresentano lo strumento più efficace.

    In molti Paesi dell’Europa settentrionale (in Scandinavia in maniera particolare) l’azione di controllo della polizia stradale è affiancata da una rete capillare di telerilevamento dei comportamenti a rischio (come la rete inglese delle telecamere per la rilevazione delle trasgressioni dei limiti di velocità), da iniziative a carattere sistematico di educazione, formazione, sensibilizzazione, da una costante attenzione a penalizzare socialmente ed economicamente i comportamenti di guida e scelte di mobilità a rischio premiando al tempo stesso quelle condotte di guida e quelle scelte di mobilità sicure.

    Questa attenzione si manifesta in contratti di assicurazione fortemente penalizzanti/premianti rispetto ai comportamenti di guida, in orari di accesso al luogo di lavoro che premiano modalità di spostamento sicure, in regolamentazioni del trafficano che “educano” all’uso di mezzi a bassa capacità d’offesa e a ridotto impatto ambientale, in scelte urbanistiche che non forniscono spazi per comportamenti di guida a rischio, etc.

    In definitiva, la costruzione di una cultura della sicurezza stradale riferita alla generalità dei cittadini non si sviluppa solo o prevalentemente attraverso campagne di informazione/sensibilizzazione o corsi di educazione stradale per adulti, ma comprende una gamma estremamente ampia di potenziali strumenti che possono essere utilizzati in vario modo e che, già in alcuni Paesi europei, sono stati concretamente utilizzati con risultati ampiamente soddisfacenti.

  2. IL  SISTEMA SANZIONATORIO

    La seconda considerazione, strettamente connessa alla prima, riguarda l’apparato sanzionatorio inteso sotto un duplice aspetto: la certezza della pena e la misura di questa, vale a dire la proporzione tra reato e pena.

    A tal proposito, appare molto interessante l’evoluzione della sicurezza stradale ed il sistema sanzionatorio in Francia nel corso del 2003.

    Occorre dire, innanzitutto, che in Francia si è registrata una riduzione delle vittime degli incidenti stradali di straordinaria entità: 1.511 morti (-21%)  e 21.910 feriti (-16%) in meno. Tale riduzione è simile per entità percentuale a quella verificatasi nel nostro Paese su base semestrale, ma ha origini del tutto diverse.

    In Francia la patente a punti è stata introdotta nel luglio del 1992 e – aspetto, questo, decisamente interessante – nel primo anno di applicazione si è registrata una riduzione sia dei morti sia dei feriti non particolarmente rilevante.

    Ciò sta a significare, se nei dodici anni di applicazione della patente a punti in Francia si sono ottenuti tali eccezionali risultati in termini di riduzione degli incidenti stradali di grave entità, che non è lo strumento in sé e preso isolatamente che produce un determinato risultato bensì è l’insieme degli strumenti e delle azioni applicate in un determinato contesto.    

    Tale straordinaria riduzione delle vittime francesi viene, infatti, spiegata con una intensificazione dell’enforcement, con l’adozione di un sistema sanzionatorio più severo e con l’aumento dei controlli.

    In primo luogo, basti pensare, a titolo esemplificativo, che nel 2003, a causa della recrudescenza dei controlli, 1,66 milioni di conducenti transalpini hanno perso complessivamente 4,46 milioni di punti-patente, con un incremento del 44% rispetto all’anno precedente e, per quanto riguarda i controlli del tasso alcolico, sono stati effettuati nel corso del 2003 ben 8.600.000 controlli, con una crescita rispetto all’anno precedente di circa il 4%.

    In secondo luogo, il sistema sanzionatorio francese prevede che talune trasgressioni delle regole di sicurezza stradale abbiano una connotazione penale. Basti pensare che, nel corso del 2002, si sono avute in Francia 194.435 condanne penali con iscrizione nel casellario giudiziario, di cui il 51% di queste hanno comportato pene detentive.

    E’ possibile che i dati succitati non abbiano tra loro alcuna relazione, tuttavia in base allo stato attuale delle conoscenze è ragionevole presumere che i fattori preponderanti, quelli cioè che hanno maggiormente influenzato l’andamento delle vittime della sicurezza stradale, siano da ascrivere all’aumento dei controlli, alla severità e all’inasprimento dell’apparato sanzionatorio che configura come delitto il reato contro la sicurezza stradale e lo sanziona di conseguenza con pene detentive tali da non potere essere considerate come un mero deterrente ma come una concreta possibilità di restrizione della libertà personale nei confronti di quanti si rendono colpevoli di condotte di guida a massimo rischio.

    Rispetto al dispositivo sanzionatorio ed al sistema di controlli francese sopra delineati, la situazione italiana appare nettamente diversa. Il grado di “severità” del nostro sistema sanzionatorio non è neanche confrontabile con quello francese così come non lo sono la sistematicità ed il numero dei controlli.

    Ciò è da ascrivere presumibilmente non tanto ad uno scarso impegno delle forze di polizia stradale bensì all’attuale quadro normativo che, probabilmente, risente dell’atteggiamento permissivo e di accettazione sociale dei svariati comportamenti a rischio.

    In queste condizioni è ragionevole auspicare, de iure condendo,una riflessione sull’opportunità o meno di rivedere le norme, gli strumenti e le strutture operative che condizionano il sistema dei controlli dei comportamenti di guida e ne determinano i caratteri e la numerosità e le disposizioni sostanziali che definiscono il sistema sanzionatorio per le trasgressioni e per i reati contro la sicurezza stradale e le modalità di applicazione delle relative sanzioni.

  3. IL DIRITTO AD UNA MOBILITA’ SICURA

Allo stato attuale la visione tradizionale dell’incidentalità stradale attribuisce le cause degli incidenti ad anomalie, eventi straordinari, errori, comportamenti trasgressivi, etc. Rispetto a questa visione, le analisi e le politiche di sicurezza stradale che negli ultimi anni sono riuscite a conseguire i risultati più soddisfacenti tendono a considerare l’incidentalità – e, in particolare, il numero e le caratteristiche delle vittime degli incidenti stradali – come il risultato statisticamente determinato di numeri fattori: le caratteristiche della rete, il volume ed il tipo di traffico, la ripartizione modale degli spostamenti, la presenza o meno di alternative modali per i percorsi abituali, la quota di utenti deboli e a rischio, etc.

Ma, a ben vedere, è lo stato di tutti questi fattori e, soprattutto, il modo in cui questi fattori si combinano, che determina sostanzialmente la configurazione e l’intensità locale del rischio e, quindi, il numero e le caratteristiche delle vittime degli incidenti stradali.

Tale asserzione presenta, infatti, un duplice ordine di rilevanti implicazioni. La prima riguarda il fatto che le prospettive di miglioramento stabile dei livelli di sicurezza stradale sono legate al miglioramento delle prestazioni di sicurezza dei fattori sopra ricordati. Così, ad esempio, la progettazione delle strade e, in particolare, la loro buona e costante manutenzione e la capacità di realizzare forme di manutenzione evoluta che non intervengono dopo la manifestazione dell’ammaloramento o della disfunzione ma siano in grado di prevenirli (cosiddetta manutenzione programmata) rappresenta sicuramente un fattore di decisiva importanza per la sicurezza stradale in generale e per la sicurezza degli spostamenti su due ruote in particolare. Allo stesso modo, una regolamentazione del traffico che consenta un efficace sviluppo dei servizi di trasporto collettivo da un lato e favorisca l’uso di spostamenti a ridotto impatto ambientale dall’altro, costituisce un altro fattore decisivo per migliorare la sicurezza stradale.

Tutto ciò suole evidenziare l’opportunità di definire standard, prestazioni minime, benchmark e altri analoghi strumenti  per definire la soglia minima delle prestazioni di sicurezza stradale che devono essere garantite dai diversi fattori e ciò in funzione di determinare un obbligo a raggiungere una soglia minima di prestazioni di sicurezza per garantire ai cittadini una mobilità sicura o, più esattamente, un livello accettabile di sicurezza stradale.

La seconda implicazione è che se, da un lato, è importante che ogni fattore sia ottimizzato in funzione delle prestazioni di sicurezza, ancora più importante, dall’altro, è assicurare una ottimizzazione complessiva, di assetto, dei diversi fattori. In questa materia, infatti, non è tanto importante il livello che si riesce a raggiungere in un determinato settore, quanto il livello medio rappresentato dalla risultante della combinazione complessiva di tutti i fattori. A titolo esemplificativo, che se da un lato è importante che la norma stabilisca un limite di alcolemia basso, dall’altro è ancora più importante il numero di controlli sul tasso alcolemico, il tipo di sanzioni previste in astratto e quelle concretamente applicate, il livello di condanna sociale della guida in stato di ebbrezza, la presenza di dispositivi come l’alcoolock e molte altre condizioni che per brevità si omettono.

In buona sostanza, quindi, se il miglioramento delle prestazioni di sicurezza di ciascun fattore determina sicuramente una riduzione delle vittime degli incidenti stradali, i risultati più rilevanti in questo settore possono essere raggiunti solo attraverso un piano o programma che consenta di intervenire in modo integrato e sulla configurazione complessiva di tutti i principali fattori.

In conclusione, ciò significa che per garantire appieno il diritto dei cittadini ad una mobilità sicura se da un lato è opportuno (se non indispensabile) definire standard e prestazioni minime di sicurezza stradale per ciascuno dei principali fattori che incidono sui livelli di sicurezza, dall’altro i miglioramenti decisamente più rilevanti in termini di sicurezza stradale potranno essere raggiunti solo attraverso una strategia complessiva e unitaria applicata su tutti i principali fattori di rischio e, cioè, attraverso la definizione e attuazione di un Piano che individua e ordina gli interventi sui diversi fattori in relazione alla loro rilevanza, al sistema di risorse concretamente disponibile, al contesto territoriale e di mobilità e così via.

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