ASSESSORATO DEI BENI CULTURALI ED AMBIENTALI
E DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE
CIRCOLARE 15 maggio 2002, n. 16
G.U.R.S. 19 luglio 2002, n. 33Trasformazione degli enti pubblici privatizzati e regime di circolazione dei beni culturali loro appartenenti (leggi 30 luglio 1990, n. 218, 29 gennaio 1992, n. 35 e seguenti).
Al soprintendente per i beni culturali ed ambientali di Palermo
Ai soprintendenti per i beni culturali ed ambientali
Ai servizi delle Soprintendenze per i beni culturali ed ambientali
All'area e ai servizi del dipartimento
Ai Centri regionali
L'ultimo decennio è stato caratterizzato dalla radicale riforma della finanza pubblica, che ha additato obiettivi e innescato prospettive tali da incidere in modo pregnante sull'intero ordinamento giuridico, collegandosi in via diretta alle mutazioni di ampio respiro intervenute nello stesso torno di tempo nella composizione sociale e nel costume del Paese.
Si fa riferimento al processo di privatizzazione originato dalla legge 30 luglio 1990, n. 218 (c.d. legge Amato-Carli) e dal decreto legge 5 dicembre 1991, n. 386, convertito con legge 29 gennaio 1992, n. 35, che hanno portato alla trasformazione degli istituti di credito e degli enti pubblici economici in società di capitali, dando il via a un percorso che non appare destinato a concludersi in tempi brevi, come indicano tra l'altro l'art. 29 della finanziaria 2002 (legge 28 dicembre 2001) e gli artt. 36 e 64 della finanziaria regionale 2002 (legge regionale 26 marzo 2002). In quasi tutti i settori, istituti giuridici consolidati sono stati a vario titolo interessati da queste norme giuridiche sopravvenute, che hanno determinato problematiche del tutto nuove, alle quali occorre fornire risposte altrettanto caratterizzate sotto il profilo dell'originalità.
Quanto sopra riguarda anche la materia della conservazione e della circolazione dei beni culturali, in quanto, com'è noto, le soluzioni adottate nel 1939 e confermate dal testo unico del 1999 prevedono due diversi regimi giuridici, l'uno valido per gli enti pubblici e l'altro riferito alle persone fisiche e alle persone giuridiche private aventi fini di lucro; con la conseguenza che quando un ente pubblico si trasforma in società commerciale, le soluzioni che l'ordinamento apprestava a tutela del patrimonio culturale del primo non si applicano più ai beni culturali appartenenti alla seconda, con possibili negative ricadute sul livello dei beni stessi.
La norma contenuta nell'art. 5, ultimo comma, del testo unico n. 490/99, continua infatti ad assoggettare alle disposizioni di tutela dei beni culturali i beni degli enti pubblici, indipendentemente dalla loro inclusione negli elenchi di cui ai commi precedenti; ma per i beni delle società è invece richiesta ad substantiam la formalità della notifica dell'interesse storico-artistico dei beni medesimi.
La possibilità che il patrimonio di un ente pubblico transitasse ad un ente "privatizzato" era del tutto remota al momento di emanazione della legge n. 1089/39, nella quale il criterio adottato, quello dell'assoggettamento automatico alle norme di tutela del patrimonio culturale pubblico, era un evidente retaggio della legislazione ottocentesca in tema di manomorta (legge Siccardi).
Il globale mutamento di tali prospettive è presente in alcune recenti pronunzie giurisprudenziali (C.G.A., 148/2000 del 29 marzo 2000), che hanno messo in dubbio le funzioni degli "elenchi" e hanno postulato da parte della pubblica amministrazione un'attività dichiarativa del valore culturale del bene, chiunque sia il titolare del bene stesso; conclusioni queste certamente importanti, ma che non intaccano tuttavia il tenore letterale della legge suddetta, dal quale si ricava al contrario il perdurare del regime di tutela automatica dei beni culturali pubblici.
Ma in caso di mutamento della natura giuridica del titolare del bene si verificano importanti modifiche sulla condizione giuridica del bene.
E' quanto si è verificato mediante la privatizzazione degli enti pubblici e la loro trasformazione in fondazioni o associazioni no profit ovvero, più comunemente, in società di capitali.
Nulla quaestio nel primo caso, perché le fondazioni, le associazioni o le istituzioni no profit rientrano, così come gli enti pubblici, nella fattispecie prevista dall'art. 55 del testo unico n. 490/99.
Sorgono invece diverse e delicate questioni quando l'ente pubblico si è trasformato in una società commerciale.
Ci si pone in particolare il problema del regime cui deve intendersi assoggettata la circolazione dei beni appartenenti a dette società, beni che, prima della trasformazione, erano da ritenersi vincolati in forza dell'art. 5, ultimo comma, del testo unico n. 490/99 e quindi, se e quando dovevano essere alienati a titolo oneroso, rientravano nelle previsioni degli artt. 55 (alienazioni soggette ad autorizzazione) e 59 (prelazione) del testo unico. Al contrario, le società di persone e di capitali sono espressamente escluse dal regime pubblicistico di cui al summenzionato art. 5 perché il codice civile le distingue nettamente dalla figura delle "persone giuridiche private senza scopo di lucro" indicata dalla norma medesima.
Una soluzione possibile per garantire la continuità della tutela e dei conseguenti limiti alla facoltà di disporre di tali beni è quella della sequela dell'interesse storico-artistico del bene dal proprietario pubblico a quello privato, con una conversione automatica del titolo in base al quale il bene è sottoposto a tutela.
Con la nota che si riscontra, il Soprintendente di Palermo è ritornato sull'argomento, rilevando che sono intercorse diverse e contraddittorie interpretazioni, tra le quali appare preferibile quella fatta propria dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale, nel corso di un contenzioso pendente in materia, ha auspicato un provvedimento legislativo di regolamentazione dell'intera materia e ha sostenuto che "il bene rimane, comunque, soggetto al vincolo originariamente imposto ope legis"; criterio in base al quale la Soprintendenza "ha richiesto ed ottenuto dalla quasi totalità degli enti interessati al tema la riconosciuta non modifica del regime vincolistico sui medesimi beni".
Questo dipartimento, pur tenendo in debito conto queste osservazioni e le motivazioni ad esse sottese, non può però che ribadire le chiare e univoche direttive al riguardo rese a codeste Soprintendenze con nota n. 75 del 10 gennaio 2001. In quella sede, infatti, si dava conto degli apporti resi dalla summenzionata giurisprudenza del C.G.A. (sent. n. 148/2000), confermativa di una precedente decisione del T.A.R. Sicilia (sent. n. 359/99, Ferrovie dello Stato S.p.A. vs. Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali di Palermo) e della lettura che di queste determinazioni avevano dato l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo e l'Avvocatura generale dello Stato. Quest'ultima, con il consulto n. 8177/2000, rilevava effettivamente la sussistenza di rilevanti incertezze giurisprudenziali sul tema della necessità o meno di un'apposita documentazione che, in assenza dei canonici elenchi, dia conto della valenza culturale dei beni pubblici; auspicava un intervento legislativo nel settore; argomentava che, anche in assenza degli elenchi, il bene culturale appartenente a un ente pubblico doveva intendersi sottoposto a tutela; ma, altrettanto chiaramente, indicava che se "al momento della trasformazione dell'ente in società per azioni un determinato bene non risulti inserito negli elenchi descrittivi, sembra imprescindibile la necessità dell'adozione di un provvedimento ex art. 6, decreto legislativo n. 490/99".
In realtà la giurisprudenza ha da sempre affermato che la tutela automatica del patrimonio culturale pubblico non è convertibile o rinnovabile una volta che il titolare del bene sia divenuto un privato: se il bene viene ceduto dall'ente pubblico a un privato occorre imporre un vincolo ex novo, notificando al nuovo proprietario l'interesse culturale del bene (Cons. St., VI, 13 novembre 1963, n. 814). Il fatto che la natura giuridica pubblica del titolare comporti in via automatica e presuntiva l'imposizione di pregnanti limiti al regime proprietario va visto come norma eccezionale, la cui ratio si collega e si esaurisce proprio in quella natura giuridica, con la conseguenza che, se per qualsiasi ragione quest'ultima viene meno, non si possono imporre oltre modo limiti al diritto del proprietario se non con le forme ordinariamente previste dall'ordinamento, e quindi mediante la notifica di cui all'art. 6 del testo unico n. 490/99.
Questa opinione sembra ulteriormente avvalorata dai più recenti profili volutivi dell'ordinamento di settore.
E' infatti rimasto privo di attuazione il disegno di legge n. 2203/99 Senato che proponeva un vincolo temporaneo di quattro anni per i beni culturali delle società, con l'onere per i loro amministratori di redigere l'elenco dei beni di interesse culturale in loro possesso entro un anno dalla costituzione della società o, per le società già costituite, dall'entrata in vigore della legge.
Di segno contrario è invece il decreto legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito in legge 23 novembre 2001, n. 410, recante disposizioni urgenti in tema di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico (in Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana 24 novembre 2001, n. 274), che all'art. 3, comma 17, esenta i trasferimenti immobiliari dipendenti dalla legge stessa dalle "autorizzazioni previste dal testo unico di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490"; né va dimenticato, sotto altro profilo, il regolamento approvato con D.P.R. n. 283/2000, in esecuzione dell'art. 32 della legge n. 448/98, che ha sostanzialmente ridisegnato natura e funzioni degli elenchi dei beni culturali pubblici e dello stesso demanio culturale.
La realtà è che sono stati per tempo avvistati i rischi che le privatizzazioni comportavano per la salvaguardia del patrimonio culturale detenuto da enti pubblici o da istituti di credito di diritto pubblico, poi trasformati in società; e si è concluso che questi concreti pericoli potevano trovare rimedio o in un preciso intervento del legislatore ovvero nella sollecita imposizione in via amministrativa di nuovi vincoli sui beni facenti parte del patrimonio delle società risultanti dalla trasformazione.
Sotto il primo profilo, va osservato che le opzioni adottate dalla legislazione speciale in tema di privatizzazioni sono apparse quasi sempre corrispondenti alle esigenze proprie del mercato finanziario e solo sporadicamente a quelle della conservazione del patrimonio culturale.
I criteri adottati per la trasformazione degli enti pubblici economici da parte del decreto legge 11 luglio 1992, convertito con legge 9 agosto 1992 (N.d.R. recte: 8 agosto 1992), n. 359 (artt. 15 e 18), come pure dalle deliberazioni CIPE che ne hanno dato attuazione (cfr. deliberazione CIPE 12 agosto 1992, comportante trasformazione dell'ente Ferrovie dello Stato nella Ferrovie dello Stato S.p.A.), sono stati tali da non consentire all'amministrazione di tutela di intervenire in questa delicata fase, né mediante l'autorizzazione alla cessione degli immobili alle nuove società né in sede di esercizio del diritto di prelazione sui conferimenti.
Infatti la soluzione adoperata dal legislatore del 1992 - trasformazione dell'ente pubblico in società per azioni - ha portato a ridefinire la natura giuridica del soggetto titolare del patrimonio senza peraltro che ciò abbia comportato alcun trasferimento di beni dall'ente pubblico alla società per azioni di nuova costituzione.
In generale, il concetto di trasformazione identifica il cambiamento di struttura e di organizzazione di un ente o di un gruppo associativo; in senso tecnico, designa invece un istituto, disciplinato dagli artt. 2498 e seguenti codice civile, che attiene al cambiamento del tipo sociale.
La trasformazione di enti pubblici (ENEL, FF.SS.) in società per azioni e del pari la trasformazione in società per azioni di enti creditizi come le Casse di risparmio rientrano nel concetto generale di trasformazione piuttosto che in quello codicistico, con la conseguenza che per comprendere la natura e gli effetti di queste trasformazioni occorre fare riferimento alle leggi speciali e ai singoli provvedimenti autorizzativi in base ai quali queste operazioni sono state effettuate; ma anche facendo riferimento alla disciplina del codice civile, non vi è dubbio che la trasformazione costituisce una modificazione dell'atto costitutivo che comporta la continuità della società e dei rapporti sociali e non incide sul soggetto ma sul tipo di disciplina cui esso rimane assoggettato.
Il principio di continuità dei rapporti giuridici proprio della trasformazione di società di capitali ha operato anche nel caso degli enti pubblici privatizzati. L'esame delle disposizioni sopra riportate conferma infatti che il mutamento di regime giuridico dell'ente e la sua sottoposizione alle norme civilistiche non ha comportato cessioni di beni, conferimenti o altro.
Sono così venute meno, tra l'altro, le condizioni legittimanti le forme di intervento previste dalla normativa in tema di circolazione dei beni culturali; ma ciò non di meno, dalla data della trasformazione i beni di interesse storico-artistico degli enti pubblici privatizzati necessitano di nuove e adeguate forme di tutela.
Analoghe conclusioni valgono nel caso della cessione d'azienda, che ai sensi dell'art. 1 della legge 30 luglio 1990, n. 218, costituisce, insieme alla trasformazione e alla fusione, una delle forme mediante le quali si è realizzata la privatizzazione del settore bancario.
La cessione dell'azienda o di un suo ramo sono regolate dal codice (art. 2555 codice civile) in funzione dell'unitarietà dell'azienda stessa, complesso di beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa, con la conseguenza che ai trasferimenti di azienda sono applicabili le disposizioni speciali dettate in funzione di questi preminenti caratteri unitari e non invece quelle proprie dei singoli cespiti compresi nell'azienda. Ne deriva che i limiti alla libera circolazione dei beni culturali pubblici (preventiva autorizzazione del trasferimento e diritto di prelazione) non sono da intendersi operanti quando oggetto del negozio di disposizione non sono i beni stessi ma il più vasto compendio aziendale dei quali essi fanno parte e che viene ceduto, nelle ipotesi di cui alla legge n. 218/90, come universitas iuris.
La legislazione speciale sopra delineata ha dunque adottato soluzioni di tecnica legislativa finalizzate alla massima celerità, economicità e certezza del diritto nella delicata fase di costituzione delle nuove società.
Rari e non sistematici sono stati al contrario gli interventi segnati dalla comprensione delle istanze di salvaguardia dei beni culturali. Tra questi va ricordato l'art. 6 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 304, relativo alla trasformazione in società per azioni dell'ente autonomo esposizione universale di Roma, norma che per un periodo di quattro anni successivi alla costituzione della società assoggetta i beni di interesse artistico e storico pervenuti alla società stessa alle disposizioni previste per le cose appartenenti a privati che abbiano formato oggetto di notifica. All'interno di questo lasso di tempo, gli amministratori della società redigono l'elenco dei beni culturali e il Ministero lo certifica.
In controtendenza va anche la legge finanziaria del 1997 (legge 23 dicembre 1996, n. 662), nella parte in cui subordina al nulla osta del Ministero dei beni e delle attività culturali le dismissioni immobiliari programmate dal Ministero della difesa.
La dinamica economica e la frammentazione dei raggruppamenti societari originati dal fenomeno delle privatizzazioni, tanto nel settore bancario quanto in quello degli enti pubblici economici privatizzati, induce in realtà a prospettare scenari caratterizzati dal massimo interesse per nuove e rilevanti cessioni immobiliari da parte delle società commerciali risultanti dal processo di trasformazione, all'interno dei gruppi di società o al loro esterno.
Lo stesso patrimonio delle fondazioni culturali, attualmente rientrante a pieno titolo nella disciplina di cui al testo unico n. 490/99 in forza della norma di cui all'art. 5, non può dirsi immune da rischi di dispersione, originati dall'appartenenza delle fondazioni stesse a gruppi sociali interessati da fenomeni di disgregazione e/o riaggregazione propri dell'attuale momento finanziario.
In questo contesto non può che confermarsi la direttiva a suo tempo impartita di effettuare "una sollecita ricognizione dei beni appartenenti ad enti privatizzati, per l'eventuale adozione dei provvedimenti di competenza", precisando che simili provvedimenti non sono altro che quelli previsti dall'art. 6 del testo unico n. 490/99.
Procede correttamente in questo senso l'attività svolta dal competente servizio della Soprintendenza di Siracusa, che ha dato avvio al procedimento impositivo del vincolo artistico-storico su immobili appartenenti oggi al Banco di Sicilia S.p.A. (cfr. nota n.989 del 5 febbraio 2002). La direzione di quest'ultima società, del resto, ha fornito adeguati momenti di collaborazione sin dal febbraio 2001, dando avviso dell'intervenuta assunzione in consistenza del patrimonio immobiliare della Sicilcassa S.p.A. e fornendo a ciascuna Soprintendenza un elenco dei beni di rispettiva competenza, sui quali è gradito conoscere quali valutazioni e iniziative siano state assunte.
Il dirigente generale del dipartimento regionale beni culturali
e ambientali ed educazione permanente: GRADO