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DIADEMI E CORONE

I monili accompagnavano la donna abbiente anche dopo la sua morte, con lo scopo di ornarla anche nella sua speranza di vita ultraterrena.
Per queste occasioni si realizzavano gioielli specifici, quasi sempre di lamina aurea stampata e ritagliata, molto vistosi ma assolutamente poco funzionali, destinati esclusivamente ai funerali e alla sepoltura.
Si tratta soprattutto di corone di foglie, ma anche di diademi ed orecchini.
Il diadema era uno degli elementi costitutivi dell’acconciatura femminile.
Quello di Montagna dei Cavalli, di lamina stampata con la figurazione di un corteo cerimoniale in onore di Dioniso ed Arianna, in cui mito e realtà si confondono, allude certamente alle speranze di vita futura offerte alla defunta dai misteri svolti in onore di queste divinità.
Le corone auree, simbolo di eccellenza, avevano fatto la loro comparsa già in età tardo-arcaica come prerogativa dei ceti aristocratici.
Esse conobbero una grande diffusione in periodo ellenistico, soprattutto nel II secolo a.C., contraddistinguendo personaggi emergenti, di cui premiavano i meriti o testimoniavano la fortuna economica o la preminenza religiosa.
Sappiamo dalle fonti che ricchi Italioti e Sicelioti che frequentavano il mare Egeo furono onorati dalle comunità locali con l’offerta di corone auree.
Così accadde, ad esempio, all’operatore economico siracusano Timon, che in seguito donò la corona ricevuta al santuario di Delo, dove lavorava suo figlio, il banchiere Nymphodoros.
In genere, le foglie o le rosacee erano montate su un supporto in materiale deperibile, probabilmente una benda in stoffa pregiata.

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