La raccolta di
dipinti su vetro del Museo “Giuseppe Cocchiara” di Mistretta
La
raccolta di dipinti su vetro del Museo Giuseppe Cocchiara, di cui oggi si trova
esposta - in una “sala azzurra” concepita come una sorta di wunderkammer
- solo una campionatura esemplare e che si conta di rendere presto integralmente
fruibile (si tratta della più ingente raccolta esistente in Italia, quasi 200
pezzi), è nel suo complesso un documento estremamente prezioso ai fini di una
ricostruzione dello svolgimento di tale forma pittorica in Sicilia, oggetto
negli ultimi decenni di studi notevoli da parte di studiosi di letteratura,
folklore e antropologia (Antonino Uccello, Antonino Buttitta, Salvatore S. Nigro).
Derivante dall’arte della
vetrata e della decorazione a freddo di superfici vitree, ma rivelante più
strette analogie con le attività connesse all’incisione, la pittura su vetro
nasce in tutta Europa, nella forma che conosciamo, verso la fine del XIV secolo.
Già nella produzione cinquecentesca i contenuti di tale pittura comprendono
episodi evangelici visti in chiave devota ed esemplare, tuttavia gran parte dei
dipinti su vetro continuano a lungo a privilegiare soggetti profani o, al più,
allegorici. Solo a partire dalla fine del Seicento, e in via definitiva nel
corso del secolo successivo, si registra una dominanza di soggetti religiosi,
riscontrandosi in pari tempo una progressiva dismissione delle precedenti
esigenze decorative a vantaggio di nuove istanze devote e cultuali nonché, in
ordine alla fruizione, una parallela “discesa” di tale forma artistica
dall’ambito egemone a quello subalterno, che nella cultura popolare meridionale
in genere e siciliana in specie assume, sotto il profilo tanto estetico quanto
ideologico, configurazioni di grande rilevanza.
Nonostante gran parte della
raccolta sia costituita da pitture provenienti da botteghe meridionali, sono in
esso presenti numerosi esempi di dipinti - i più antichi - appartenenti al
periodo caratterizzato dagli influssi della scuola veneta e della pittura colta;
i dipinti che mostrano influssi di botteghe napoletane e pugliesi, dai colori
meno sfumati e dal tratto più deciso, risalgono alla prima metà dell’ottocento.
A un periodo segnato da tentativi di elaborazione autonoma dei tratti stilistici
prima importati, elaborazione che studiosi come A. Buttitta riconducono
all’attività dei cosiddetti “pincisanti”, appartengono esemplari nei
quali è chiaramente rilevabile l’abbandono delle esigenze di mero decoro in
direzione di una lettura devozionale della materia trattata. Al periodo che va
dalla fine del XIX agli inizi del XX secolo sono infine da ascrivere alcuni
pezzi in cui si assiste a una commistione modulare delle esperienze dei “pincisanti”
e dell’attività dei decoratori di carretto, e successivamente al definitivo
imporsi di stilemi interamente riconducibili all’arte pittorica dei carretti
siciliani.
Oltre a una rilevante presenza
di vetri pugliesi e napoletani, assai diffusi in tutto il meridione, le pitture
del Museo testimoniano altresì di svariati centri di produzione presenti, lungo
l’arco di alcuni secoli, nell’intero continente europeo. Si va dunque da vetri
di origine veneta, o di stile e d’influenza veneti, in genere
tardo-settecenteschi o al più databili al primo ventennio del XIX secolo, a
vetri la cui produzione è riconducibile a botteghe romane, altoatesine,
tedesche, olandesi, francesi, danesi, spagnole. I vetri veneti, più antichi ed
esprimenti stilemi culti, spiccano per la peculiare finezza delle pennellate e
per la tenuità delle tinte (rosa pastello, celeste, violetto); i vetri popolari
siciliani sono viceversa caratterizzati da colori vivaci (rosso acceso, giallo
carico, azzurro vivo), poco sfumati e distribuiti nella campitura con pezzature
assai nette; i vetri pugliesi infine, che costituiscono una sorta di variante
orientale di quelli napoletani, presentano come peculiare cifra stilistica la
presenza dei colori giallo ocra, rosa confetto, celeste, nonché un generalizzato
ispessimento dei tratti che delineano le silhouettes delle figure e l’uso
frequente dell’oro zecchino, probabile retaggio dell’arte delle icone.
La presenza di pitture su
vetro di origine pugliese e napoletana documenta indubbiamente i rapporti che
l’Isola ha storicamente intrattenuto con le espressioni figurative dell’Italia
meridionale, Napoli e la Puglia in particolare. L’attività piscatoria e
mercantile spiegano in parte tale fenomeno, peraltro non ancora indagato a
fondo.
Le pitture su vetro venivano
acquistate localmente, in concomitanza con eventi fieristici o più spesso nel
corso di pellegrinaggi, commerciate da venditori ambulanti che si rifornivano -
per quanto attiene la produzione isolana - da centri della Sicilia occidentale e
da botteghe etnee, ma anche importando, attraverso le isole Eolie, materiale
proveniente da Napoli e dalla Puglia, che poi dal centro di Patti smistavano
nelle zone interne dell’Isola.
Ancorché tale patrimonio sia
stato fortemente depauperato dalla lenta ma inarrestabile emorragia che negli
ultimi quarant’anni gli antiquari e i turisti hanno determinato nel patrimonio
figurativo popolare isolano, le pitture su vetro continuano a costituire uno dei
segni più pregnanti attraverso cui l’arte popolare siciliana ha declinato nel
corso degli ultimi tre secoli la propria identità.
Osservando più da vicino
l’articolato pantheon di immagini sacre offerto dai vetri, si nota come
una notevole quantità di dipinti sia dedicata alla raffigurazione di immagini
mariane articolate nei loro tradizionali attributi e statuti iconografici (Vergine
Annunziata, Immacolata, Dormitio Virginis, Madonna di
Portosalvo, del Buon Consiglio etc.) che costituiscono nel loro
complesso un aspetto significativo degli originari contesti di fruizione
(immagini sacre da capezzale); un secondo nucleo è composto da pitture
raffiguranti un santo o un gruppo di entità numinose (San Giuseppe,
Sant’Anna, Sant’Alfonso dè Liguori, Santa Rosalia, San
Michele Arcangelo, Santa Maria Maddalena, Sacra Famiglia,
nella forma archetipica ternaria ovvero estesa alla presenza di altri santi
sotto forma di “Sacra Conversazione” etc.) per lo più svolgente una
funzione protettiva e/o devozionale; un terzo gruppo è formato da vetri
indirizzati alla restituzione narratologica di episodi connessi alla storia
vetero e neo-testamentaria (Sogno di Giacobbe, Storie di Giuseppe,
Susanna al bagno, Natività, Adorazione dei Pastori,
Martirio del Battista, Resurrezione di Lazzaro, Crocifissione,
Cena in Emmaus, Conversione di San Paolo etc.) o alla mitologia (Ratto
di Europa, Guerra di Troia, etc.). Non mancano infine raffigurazioni
“profane”, a carattere storico-sociale (Volo in mongolfiera) o
allegorico (La scoperta dell’America, Le quattro stagioni) o
addirittura favolistico (Cenerentola).
Le pitture venivano realizzate
al contrario, ossia dipingendo le immagini sul verso del vetro in modo
speculare rispetto a come si desiderava che esse apparissero guardando il
recto di esso. Parimenti, essendo la stesura dei varî colori
cronologicamente invertita nelle sue fasi, essa doveva necessariamente prevedere
la resa immediata di ciò che nei dipinti su supporto viene realizzato dopo
(occhi, naso, bocca, chiaroscuri, particolari della figura e del paesaggio etc.)
e che viceversa è qui oggetto di prima stesura per non essere sommerso e
cancellato dagli strati successivi (incarnati, sfondi e campitura dei volumi in
generale). Dal necessario impiego di tale tecnica deriva alle pitture sotto
vetro l’incantevole caratteristica di essere totalmente prive di qualunque
perfezionismo: una volta dati i colori, è impossibile per l’artista mutare il
quadro. Ciò implica in un certo senso il riconoscimento di una perfezione
che il dipinto in ogni caso possiede e che ne sancisce in qualche modo lo
statuto di icona, di sacra epifania.
E’ evidente, nella gran parte
della produzione pittorica su vetro non solo veneta ma anche meridionale, la
derivazione dei modelli iconografici da stampe popolari di soggetto sacro
largamente diffuse nei secoli XVIII e XIX e mutuati dall’imponente produzione
settecentesca dei Remondini, editori e stampatori di Bassano specializzati nella
realizzazione di immagini devote la cui circolazione interessò l’intera Europa e
finanche i paesi ispano-americani. Per le immagini più antiche, non è priva di
esiti un’indagine che consenta di risalire a influssi della produzione pittorica
colta dei secoli XV-XVII.
Se si riflette su tali
origini, appare utile dunque rilevare come l’atto di trasferire le elementari
immagini devote sulla materia vitrea possa essere un’operazione valutabile sotto
il profilo ideologico, costituendo esso una strategia di arricchimento della
materia attraverso l’impiego del colore e del medium traslucido, e ancora
il raggiungimento di un maggior grado di numinosità conferito ai dipinti
attraverso un “congelamento” delle immagini che le rende permeabili alla luce,
misteriose, potenti, responsabili.
Sullo statuto delle immagini
sacre come immagini responsabili, in grado di fornire responsa in
quanto simboleggianti un soggetto o un’entità, hanno a lungo soffermato la
propria attenzione alcuni antropologi e storici dell’arte (F. Faeta, G.
Didi-Huberman). Utilizzando proficuamente la categoria della
transustanziazione elaborata dallo studioso francese, si può affermare che
le immagini numinose, nonché essere mere riproduzioni di un referente
(l’immagine di un santo riproduce quel santo) tendano, in contesti di
fruizione ancora permeati da una cultura di tipo tradizionale, a confondersi con
esso, partecipando in pari grado dell’essenza che lo connota. E’ facile
comprendere quanto una tale arcaica ideologia delle immagini comporti in ordine
alla valutazione delle dinamiche di fruizione delle stesse nei più disparati
contesti devozionali pubblici e privati.
I dipinti sotto vetro mostrano
forse qui la loro più intima vocazione a costituirsi come miracoli, sacre
apparizioni di un nume che irrompe nella storia degli uomini. Essi cioè, per
dirla con Ernesto de Martino, “offrono una prospettiva per immaginare, ascoltare
e guardare ciò per cui si è senza immaginazione, sordi, ciechi, e che tuttavia
chiede perentoriamente di essere immaginato, ascoltato, visto”.
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