La filatura

A seconda della qualità dei fili e della sua destinazione, il lino veniva prima scarminatu e disposto entro cesti da cui le filatrici attingevano piccole quantità da utilizzare nella fase della filatura, avvolte in spire sulla terminazione della cunocchia (o rucca); la fibra veniva sfilacciata per confluire alle dita della mano destra, che inumidite di saliva la riduceva a un esile filo energicamente ritorto per effetto della rotazione del fuso, fatto vorticare sfregando l'asse sulla gamba.



La quantità di filato ottenuto durante ognuna di queste brevi e successive operazioni, si avvolgeva attorno al fusto dello stesso strumento.

Il filo ottenuto dopo quasi un'ora di lavoro veniva raccolto in matasse attorno a un attrezzo in legno o canna (u' jnnaru) della misura desiderata, e corrispondente alla circonferenza del nimmulu (nimula), arcolaio che ruotando permetteva al filo di svolgersi nuovamente per il riempimento della cannedda (canniedra, cannolu).

Tale operazione, che impegnava ancora solo una persona, veniva eseguita attraverso il fusuferru, fuso pesante e slanciato attorno al quale veniva infilato il cilindro di grossa canna su cui avviluppare il filo svolgentesi dall'arcolaio.

L'asta metallica, ben inserita nella cavità della piccola base in legno tenuta stretta fra le ginocchia, veniva fatta ruotare col continuo movimento della mano destra.
Così riempita, la cannedda era pronta per l'uso proprio della fase