Coltivazione e lavorazione delle fibre La semina del lino veniva eseguita tra ottobre e novembre su terreni zappati e profondi, ombreggiati e umidi, spargendo il seme in modo fitto perché la pianta crescesse alta e dritta, curando di estirpare le erbacce con le mani e di abbeverare di tanto in tanto se il clima era poco piovoso. Seminato a marzo, si otteneva uno stelo più tenero e adatto per trarne fibre più pregiate. La pianta adulta, alta poco meno di un metro, presentava lo stelo sottile e slanciato, ramificato all'apice, foglie appuntite e piccoli fiori azzurri che cedevano il posto ai semi. Si raccoglieva alla fine di maggio o in giugno, strappandola dal terreno (scippari u linu) e si riuniva in fasci ad asciugare per circa 7-8 giorni. |
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Successivamente i fasci venivano condotti in piccoli 'urii' o vasche seminaturali nei letti di torrenti o fiumare dove l'acqua, pur scorrendo lentamente, avesse l'effetto di scaldarsi per permettere l'ammollimento e la fermentazione del prodotto, per otto o dieci giorni. ![]() Giunti a uno stato di idonea macerazione, e cioè quando i fili si distaccavano facilmente dalla scorza, i fasci si ammonticchiavano e asciugavano per qualche giorno, premuti da grosse pietre. La fase successiva consisteva nella gramolatura. A piccoli mazzi la pianta era battuta dentro il manganu, attrezzo che presentava una grossa dentatura in legno rinforzato da coltelli metallici. |
![]() Si procedeva quindi alla selezione delle fibre per mezzo del cardu, utensile ligneo da cui fuoriusciva una serie ordinata di acuminati chiodi; passando attraverso tale dentatura, il lino si separava in tre tipi di prodotti: a stuppa o a rizzatura, la parte più grezza e legnosa utile per il riempimento di materassi e cuscini, i lunghini, fili di minore spessore e maggiore lunghezza per i tessuti 'ruossi' (tela pesante adatta a fare coperte, bisacce, sacchi di farina) e la manna, fibre più bianche e sottili da cui si ottenevano i panni più fini (stoffe per indumenti, lenzuola, tovaglie). ![]() |