La pratica della caccia

La cattura e l'uccisione di animali selvatici attraverso particolari strategie o l'uso di strumenti di offesa ha origini antiche quanto l'uomo; non tutte le specie comunque formano oggetto di caccia e sono destinate all'alimentazione.

Avendo in passato usato armi di tipo 'primitivo', e continuando in pochi casi a impiegare metodi assai antichi di cattura come trappole, reti e animali da preda, il cacciatore viene oggi abitualmente pensato come colui che provvisto di arma da fuoco svolge tale esercizio da solo o in gruppo, con l'ausilio o meno di cani da fermo o da corsa. Il fucile da caccia (schioppo, scupetta) è infatti considerato determinante e assai diffuso essendo reperibile in tutte le armerie; funzionante ad avancarica fino alla metà dell'ottocento, è stato sostituito con quello più moderno a retrocarica.

 

Gli aspetti più pertinenti l'ambito etno-antropologico sono legati, oltre che alle relazioni umane e ai momenti di vita legati alle battute collettive, alle forme più caratteristiche di aucupio (cattura per mezzo di particolari strumenti), oggi per lo più proibite.

Nella pratica è stato sempre significativo il rapporto conflittuale tra cacciatori e contadini o armentisti, per la possibilità dei primi di penetrare nei fondi e attraversare campi coltivati, tenuto conto del principio fatto proprio dal diritto romano che la selvaggina è res nullius. Dal momento che le leggi italiane ne hanno sancito la titolarità statuale, il 'prelievo' è regolato da permessi, periodi, limiti, divieti e controlli.