Il maniscalco

La forgia era un punto di riferimento per i contadini, obbligati all'utilizzazione di animali per trasporto e traino, come cavalli, muli e buoi, che andavano soggetti alla periodica ferratura per la continua e temuta usura degli zoccoli.

Pertanto, nel periodo di maggiore attività agricola, (e in particolare la domenica) davanti alla forgia si affollavano per il turno numerose cavalcature, e il fabbro svolgeva le mansioni di maniscalco per la ferratura o la sformatura.

Gli attrezzi necessari consistevano nelle tenaglie e nella ròsula (rruosciula, ruòsciuna, paletta a scalpello per il taglio delle unghie), i ferri e i chiodi, il mazzuolo.

'U mastru provvedeva a dotarsi di una scorta di ferri da utilizzare all'occorrenza, di diverso tipo e dimensione per poterli poi facilmente adattare a ogni zoccolo.
 




 

I ferri del cavallo erano più grandi, avevano otto buchi e richiedevano chiodi da sei centimetri, così come quelli dei muli, alquanto più piccoli; quelli degli asini avevano sei buchi e si applicavano con chiodi da quattro o cinque cm.;
quelli che si adattavano alle zampe anteriori (più tondi) erano differenti da quelli destinati alle posteriori (più allungati).

I ferri applicati ai buoi erano invece a forma di valve simmetriche e si applicavano in ciascuna unghia in cui era ripartito lo zoccolo.
 


La cura dei mali
Non era fatto inconsueto che il maniscalco si prestasse per la cura di
alcune malattie o difetti che intervenivano con l'età nelle cavalcature.
Le cure più praticate riguardavano ad esempio la scalpellatura dello scagghiuni, dente cresciuto in modo abnorme, o la bruciatura d'a fava con un ferro rovente (si bruciava un gonfiore del palato che sopravanzava la lunghezza dei denti).




Quando la pressione sanguigna era considerata troppo alta e il mulo rischiava di diventare bolso, si sagnava, si incideva cioè nel palataro attraverso il buzzuni (corto coltellino ricurvo) per far perdere sangue.

Per il gonfiore di stomaco (mali i mola) si interveniva cospargendo il ventre con argilla o fango misto a urine e si praticava un'incisione per fare uscire i liquidi formatisi.



Infliggendo insomma non poche sofferenze, e utilizzando erbe o minerali disponibili in natura, si riuscivano a curare le più diverse affezioni, restituendo al padrone dell'animale un prezioso compagno di lavoro.