Il maniscalco
La forgia era un punto di riferimento per i contadini, obbligati
all'utilizzazione di animali per trasporto e traino, come cavalli, muli e
buoi, che andavano soggetti alla periodica ferratura per la continua e
temuta usura degli zoccoli.![]() Gli attrezzi necessari consistevano nelle tenaglie e nella ròsula (rruosciula, ruòsciuna, paletta a scalpello per il taglio delle unghie), i ferri e i chiodi, il mazzuolo. 'U mastru provvedeva a dotarsi di una scorta di ferri da utilizzare all'occorrenza, di diverso tipo e dimensione per poterli poi facilmente adattare a ogni zoccolo. |
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I ferri del cavallo erano più grandi, avevano otto buchi e richiedevano chiodi da sei centimetri, così come quelli dei muli, alquanto più piccoli; quelli degli asini avevano sei buchi e si applicavano con chiodi da quattro o cinque cm.; quelli che si adattavano alle zampe anteriori (più tondi) erano differenti da quelli destinati alle posteriori (più allungati). ![]() |
![]() La cura dei mali Non era fatto inconsueto che il maniscalco si prestasse per la cura di alcune malattie o difetti che intervenivano con l'età nelle cavalcature. Le cure più praticate riguardavano ad esempio la scalpellatura dello scagghiuni, dente cresciuto in modo abnorme, o la bruciatura d'a fava con un ferro rovente (si bruciava un gonfiore del palato che sopravanzava la lunghezza dei denti). ![]() Quando la pressione sanguigna era considerata troppo alta e il mulo rischiava di diventare bolso, si sagnava, si incideva cioè nel palataro attraverso il buzzuni (corto coltellino ricurvo) per far perdere sangue. Per il gonfiore di stomaco (mali i mola) si interveniva cospargendo il ventre con argilla o fango misto a urine e si praticava un'incisione per fare uscire i liquidi formatisi. ![]() |