Il mondo dei pastori: ruoli e abbigliamento

Gli abiti del lavoro
Nel contesto dell'attività pastorale le figure proprie che definivano tale realtà economica appartenevano a ceti diversi (dai proprietari di mandrie e dai suprastanti ai crapari e agli uomini di fatica, come i carusi e i sfacinnati) e tali ruoli erano individuabili dall'abbigliamento, tanto di lavoro che festivo, diverso e distintivo.
Per quanto concerne gli abiti, utilizzati nei vari ambiti lavorativi soprattutto nei momenti di invigilamento da vaccari, picurari e crapari, fin quasi alla metà del '900 era comune l'uso di indumenti in pilu, ovvero realizzati con pelli di pecora o capra conciati in proprio, tagliati e cuciti anche dagli stessi pastori, o dalle donne di casa.
Si trattava in particolare della vràca (viraca, causi 'i' pilu), che veniva fatta aderire in vita da un passante di corda, e del rubbuni, sorta di giacca con maniche ampie aperta sul davanti e destinata a coprire una pesante cammisa di tela d'olona avvitata con una fascia.
Completavano il vestiario 'a coppula o 'a baschina (in antico anche 'a meusa) e i scarpi 'i pilu, in cuoio bovino, che si stringevano al piede e al polpaccio per mezzo di legacci in cuoio (ruocciuli, rucciulera, capizzagghi) che si avvolgevano prima alla caviglia, poi si intrecciavano sulla gamba e si annodavano sotto il ginocchio, al di sopra di fasce di tela avvolte all'ingiro e talvolta ulteriormente rivestite di pelle (pilantara, prantàla). Per la difesa dal vento e dalla pioggia era utilizzata a 'ncirata, mantello con cappuccio in tela reso impermeabile con un trattamento di olio di lino (Romano).
Nei mesi freddi si faceva uso anche di vecchi scapolari (scappulari, scappucci).

Gli abiti della festa
Il vestiario utilizzato in paese e nei giorni di festa dei pastori più agiati faceva ricorso ad abiti in velluto rigato; la giacca con i bottoni poteva avere un rifascio ai bordi in velluto liscio.
I pantaloni potevano essere con gambale lungo, tenuto sotto i pesanti quasuni (calzettoni) in lana, rivoltati sotto il ginocchio o terminanti alla stessa altezza e abbottonati.
Sulle calze potevano comparire dei gambalini in pelle stretti da cinghie ai lati, e venivano calzati scarponi (scarpuna) in vitello ben lucidi.
Il copricapo, la cuoppula era necessario complemento, confezionata con velluto, pelle o lana.
D'inverno gli allevatori indossavano un cappotto in panno scuro, con cappuccio ricadente (bburdigghiùni), mentre comune a pastori e contadini era u scappularu di albagio nero e pesante, con cappuccio solidale al mantello (aperto sul davanti) e aperto a visiera che scendeva a coprire il corpo fino ai polpacci. Questi era realizzato con un pesante tessuto di lana arricchito di setole di vacca, l'albagio (abbrasciu) che doveva essere trattato in maniera complessa in modo da acquisire delle qualità come l'impermeabilità, la compattezza, la pesantezza, la durevolezza.

La prima operazione cui doveva essere sottoposto l'albagio era la follatura nei paraturi (pressatura in un bagno di sapone e acido solforico), quindi si procedeva alla colorazione mediante bollitura in una soluzione in cui erano presenti in buona percentuale il sommacco, rametti di rosmarino e vetriolo, e infine al risciacquo e all'asciugatura lenta, fino ad ottenere il tessuto pronto all'uso.