PARCO ARCHEOLOGICO DELLE ANTICHE CAPITALI DI PANTELLERIA
di Sebastiano Tusa
Considerazioni generali di carattere storico-archeologico
Non abbiamo dati certi circa l’inizio del popolamento di Pantelleria
poiché i dati della ricerca archeologica sono ancora assai
carenti. Infatti, più volte autorevoli studiosi intrapresero ricerche
sistematiche sull’isola ma tali tentativi non andarono al di là
di brillanti e promettenti premesse subito abbandonate
È certo che l’isola fosse stata frequentata fin dal neolitico,
cioè almeno fin dal V millennio a.C., e certamente durante l’eneolitico
(III millennio a.C.). Ciò si desume dalla presenza di ossidiana
pantesca rinvenuta in contesti così antichi sia in Sicilia che a
Malta. Una delle attrattive principali per l’uomo preistorico dovette essere,
infatti, il prezioso “vetro vulcanico” che abbonda in più zone dell’isola.
È noto che l’ossidiana, non appena viene conosciuta in seguito all’esplorazione
delle zone di estrazione (Lipari e Pantelleria), viene subito apprezzata
per le indubbie qualità ed efficacia nella produzione di strumenti
litici.
Tuttavia, pur avendo la certezza che genti siciliane e maltesi si rifornirono
di ossidiana pantesca in periodi così remoti, non abbiamo alcun
dato certo sull’occupazione così antica di Pantelleria.
Insediamento preistorico di Mursia
Le testimonianze insediamentali più antiche finora conosciute
risalgono all’antica età dei bronzo, e cioè ai primi secoli,
del II millennio a.C. Si tratta del ben noto villaggio fortificato
di Mursia e dell’adiacente necropoli costituita da quei singolari ed originali
monumenti, ignoti al di fuori di Pantelleria, che vengono denominati sesi.
I sesi di Pantelleria sono strutture circolari a tronco di cono, costruite
secondo una tecnica megalitica ed adibite ad esclusiva funzione funeraria.
La loro tipologia riflette il modulo a torre ben noto nelle altre isole
del Mediterraneo centrale dalle navetas e talayots balearici, alle torri
della Corsica ed ai nuraghe sardi. Ovviamente tali generalizzazioni hanno
ben poco senso poiché ogni articolazione locale di tale modulo assume
le sue peculiarità formali e tecniche specifiche, nonché
le proprie motivazioni filogenetiche.
I sesi, infatti, a differenza dei simili monumenti succitati non presentano
una struttura cava all’interno sicché la loro tecnica costruttiva
risulta estremamente elementare. Ad un paramento ben costruito con poderosi
blocchi corrisponde una struttura interna a sacco di pietrame vano. Soltanto
ai fianchi venivano costruite una o più piccole cavità adibite
al rituale funerario. Una struttura quindi, estremamente semplificata che
per nulla sembra richiamare le arditezze della statica talayotica delle
Baleari, torreana della Corsica e nuragica della Sardegna, e che semmai
ne riprende soltanto le esperienze formative.
È proprio con i monumenti più antichi che possono collocarsi
alla base dell’insorgenza nuragica che troviamo gli elementi più
significativi di confronto tipologico e tecnico. Ci riferiamo ai nuraghi
a corridoio o pseudonuraghi - da Albucciu a Peppe Gallu e Bruncu Madugui
- caratterizzati dalla netta prevalenza della muratura sullo spazio vuoto
fruibile. Questa tipologia trova ulteriori confronti in Francia con alcuni
tumuli databili al neolitico medio, quali quelli di La Nògue, La
Noguette, in Calvadòs.
Per spiegare l’originalità dell’acquisizione pantesca del modulo
a torre piena bisogna tener conto di ciò che la vicina tradizione
siciliana dei rituali funerari contemporanei comportava. Ciò
anche in virtù del fatto che la sfera culturale nella quale l’orizzonte
pantesco dei sesi si inserisce è quello siciliano cosiddetto di
Rodi-Tindari-Vallelunga, Boccadifalco. L’insediamento di Mursia fa, infatti,
parte integrante di un vasto areale culturale che vede tutta la Sicilia
settentrionale, compreso, quindi, il Palermitano e parte del Trapanese,
accomunato dalla presenza di una tradizione ceramica che si distacca sensibilmente
da quella imperante precedentemente soprattutto nell’altra parte della
Sicilia interessata dalla civiltà di Castelluccio. Quest’ultima,
infatti, è caratterizzata dalla presenza di una ricca e variegata
produzione che ha nella decorazione dipinta in nero o bruno su fondo rosso
la sua peculiarità maggiore. L’areale culturale cui fa riferimento
Pantelleria, nega, invece, qualsiasi cromatismo nella decorazione, indugiando,
talvolta, nell’incisione o nell’elaborata sopraelevazione delle anse. Queste
peculiarità portano alla determinazione che in questo periodo gran
parte della Sicilia, compresa Pantelleria, presenta forti analogie con
il mondo tirrenico con il quale si trovano diversi livelli di omogeneità
tipologica e culturale.
Stretti sono, infatti, i legami tra la cultura in questione e quelle
di Capo Graziano, alle Eolie e del Protoappenninico B, della penisola.
Nell’ambito della cultura di Rodi-Tindari-Vallelunga-Boccadifalco-Mursia
la tipologia funeraria rimane sempre ancorata all’idea di tomba ipogeica
a grotticella. È pertanto probabile che chi impiantò l’insediamento
di Mursia a Pantelleria agli inizi del il millennio a.C. (come ci indicano
anche le datazioni al radiocarbonio), provenendo dalla Sicilia, portasse
con sé tale tradizione. Ma difficilmente poté perseguirla,
a causa della difficoltà oggettiva di scavare grotticelle nella
consistente e frastagliata struttura vulcanica dell’isola. È molto
probabile, quindi, che il sese nasca dall’esigenza di trasferire la tipologia
della tomba a grotticella scavata nella roccia anche sul suolo pantesco.
Ma la natura incoerente e friabile della roccia vulcanica locale non permetteva
l’intaglio regolare e duraturo delle cellette funerarie.
Si determinava, pertanto, l’esigenza di creare un supporto artificiale
ove creare efficacemente tale cella pseudoipogeica. Nella creazione di
tale supporto di valido aiuto dovette essere l’imprestito formale costituito
dall’introduzione del modulo a torre già da tempo diffuso nel Mediterraneo
centrale.
Il fenomeno megalitico, quindi, pur essendo presente, anche a Pantelleria
acquisterebbe, in realtà, un ruolo estremamente marginale se confrontato
con le aree limitrofe del mediterraneo centrale. L’architettura megalitica
pantesca pare essere tale soltanto nel suo aspetto formale e superficiale,
ma non strutturale. Si verificherebbe tra Sicilia e Pantelleria anche
una convergenza fenomenica. Così come l’introduzione della tipologia
della tomba a corridoio o galleria nella Sicilia dell’antica età
del bronzo (inizi del II millennio a.C.) rimaneva un fenomeno marginale
e limitato, e, comunque, fortemente modificato nella sua adozione, anche
l’inserzione del modulo a torre a Pantelleria rappresenterebbe un elemento
tecnico utilizzato per trasferire sull’isola un rituale funerario altrimenti
impraticabile.
È quindi, presumibile, che soltanto l’aspetto formale e tecnico
dell’architettura megalitica sia giunto in Sicilia dalla Sardegna.
Scorgiamo in questo provenire dalla Sardegna il ripetersi di consueti percorsi.
È lungo lo stesso tragitto che giunse in Sicilia, qualche secolo
prima, il Bicchiere Campaniforme che si diffuse maggiormente proprio in
quella area del basso Belice dove riscontriamo anche forme di megalitismo
ridotto. Sembrerebbe logico, quindi, pensare che i gruppi del Bicchiere
abbiano introdotto in Sicilia anche alcuni elementi formali e tecnici di
megalitismo.
E sarebbe anche possibile che il ripetersi, nella fase successiva di
Rodi-Tindari-Vallelunga-Boccadifalco-Mursia di fenomeni tecnico-formali
ascrivibili al megalitismo come l’episodio dei sesi di Pantelleria,
possa sempre far riferimento a quella direttrice di penetrazione dalla
Sardegna.
Al di la delle legittime posizioni scientifiche, su una cosa è
chiaro che si possa essere concordi: l’importanza dei sesi e della preistoria
pantesca nei quadro della più antica storia mediterranea. Questo
assunto ci porta alla conclusione ovvia che i sesi, e con essi il villaggio
di Mursia, vanno tutelati, anzi valorizzati come tasselli di un mosaico
storico, di cui la Sicilia è particolarmente dotata, tra i più
importanti ed essenziali. Il loro numero totale è ignoto poiché
dei 58 segnalati da Orsi non tutti sono oggi visibili anche se altri se
ne sono aggiunti recentemente in seguito a ulteriori esplorazioni, A parte
quei sesi che insistono sulla fascia più insediata corrispondente
alla cava, alla strada ed a isolati episodi di edilizia abusiva, quel suggestivo
ed affascinante scenario che ha nel rapporto ha la monumentalità
preistorica e l’intricato ricamo della macchia la sua più intensa
bellezza, rimane ancora miracolosamente intatto.
Ma forse la sola tutela non basterebbe a contrastare il degrado del
tempo e, soprattutto, degli uomini. È necessario accendere i riflettori
scientifici su questa realtà che solo Orsi seppe comprendere con
il solito entusiasmo che lo contraddistingueva, se è vero, come
è vero, che, incurante dei disagi invernali e delle attrattive del
Natale, trascorse a Pantelleria il periodo compreso tra il 25 dicembre
1894 ed il 2 febbraio 1895 per raccogliere la più completa rassegna
di dati sulle antichità pantesche e quindi, anche sui sesi e sul
vicino villaggio, che noi oggi possediamo.
Sembrò che i riflettori fossero stati riaccesi negli anni ‘60,
quando la Soprintendenza Archeologica di Palermo restaurò il sese
grande, l’Università di Roma effettuò una breve ricognizione
alla ricerca della Pantelleria fenicio-punica e quella di Pisa condusse
due campagne di scavo proprio nel villaggio di Mursia. I risultati furono
soddisfacenti, ma gli effetti deludenti poiché i riflettori si spensero
e un insano, quanto mai distruttivo “sviluppo turistico” ha avuto campo
libero per tentare di devastare le testimonianze del passato.
Che Orsi abbia intuito l’importanza dell’evidenza pantesca, e dei sesi
in particolare, è fuori di ogni dubbio. Purtroppo Egli non ebbe
l’opportunità ed il tempo per approfondire quella scoperta. Del
resto lo spunto per effettuare quella ricognizione, in un luogo così
lontano dalla “Sua” Siracusa, gli era stato offerto da una contingenza
politica, più che da un’esigenza scientifica, su invito (o imposizione
?) di Luigi Pigorini, il Padre della Paletnologia Italiana. Fu, infatti,
uno strano episodio di effimera invasione francese dell’isola di Pantelleria
ad indurre il Ministero della Pubblica Istruzione a mandare una missione
italiana per studiare “i monumenti e gli avanzi di ogni età, colà
esistenti.” Come sempre nella sua storia la ricerca archeologica, spesso
dimenticata e maltrattata in tempo di pace veniva caldeggiata come veicolo
apparentemente innocuo per nascondere un malcelato disegno egemonico politico-militare.
Dopo quell’episodio “occidentale”, Orsi si rituffò nei suoi
studi che vertevano principalmente sulle antichità siracusane e
su quelle della Sicilia centro-orientale.
Del villaggio coevo alla necropoli sesiota si sa qualcosa in seguito
agli scavi del Tozzi che misero in luce alcune capanne circolari ovaleggianti
lastricate all’interno e dotate di bacini da raccolta litici e macine.
Ma ciò che più impressiona è il poderoso muro di cinta
ancora ben conservato che proteggeva il villaggio capannicolo sul lato
di terra. Ha un andamento curvilineo, una sezione trapezoidale ed un altezza
conservata di oltre m.5.
Insediamento fènicio-punico ed ellenistico-romano di Santa Teresa
e San Marco
A parte l’evidenza di Cimillia - Mursia la presenza preistorica a Pantelleria
è indiziata attraverso qualche rinvenimento di superficie che meriterebbe
ulteriore approfondimento.
Ma ancora più urgente è chiarire la situazione dell’occupazione
di Pantelleria in periodo storico. Purtroppo la gran massa di rinvenimenti
e segnalazioni non ha mai ricevuto quella idonea attenzione scientifica
tale da metterci in condizione di desumere dati certi sulla storia dell’isola
da affiancare alle notizie tramandateci dalle fonti storiche.
La testimonianza più significativa è costituita dalla
cosiddetta Acropoli di Santa Teresa e San Marco, a monte dell’odierno centro
abitato. Malgrado la forte pressione demografico rurale resistono ancora
evidenti spezzoni delle sue mura urbiche e brandelli delle sue strutture
edilizie dotate di cisterne. Intorno ci giungono segnalazioni di evidenze
funerarie e di altre strutture edilizie di varia epoca (dal periodo arcaico
al medievale).
Sul piano storico è presumibile pensare che il grande centro
fenicio-punico in questione dovette trovarsi al centro delle rotte della
prima colonizzazione fenicia del Mediterraneo centrale. Tuttavia la prima
fonte attestata, quella del Periplo dello pseudo Skylax, databile alla
metà del IV sec. a.C. oltre a fornirci i tempi di percorrenza per
raggiungere l’isola dalle terre circostanti, ci attesta la presenza cartaginese.
L’importanza di Pantelleria nei collegamenti cartaginesi tra Sicilia
e Africa determinò l’attenzione costante dei Punici verso l’isola
e la sua attenta difesa dalle mire elleniche. Tale ruolo durò fino
all’affacciarsi di Roma nello scenario mediterraneo. Già nel 254
a.C. un flotta romana la conquistò, ma fu una conquista effimera
poiché i Cartaginesi riuscirono a ristabilirne il controllo. Tuttavia
nel 217 a.C. Pantelleria cadde definitivamente in mani romane. Ma la sua
situazione non dovette essere tranquilla fino al I secolo poiché
le fonti ce ne parlano sempre come di un’isola in perenne stato di fortificazione
per contrastare eventuali mire di rivalsa cartaginese.
Dal I secolo in poi l’isola visse probabilmente il suo periodo migliore
venendo meno i pericoli di invasione in seguito al rafforzamento del dominio
romano sul Mediterraneo. È questo il periodo durante il quale l’insediamento
ancora sepolto sotto i cappereti ed i vigneti (in gran parte abbandonati)
di Santa Teresa e San Marco dovette diventare una vera e propria metropoli
commerciale al centro del Mediterraneo e snodo fondamentale nelle rotte
tra l’Italia e l’Africa. Tale situazione dovette durare fino alla fine
dell’impero quando le invasioni vandaliche prima, bizantine dopo, ed arabe
infine, determinarono periodi di crisi e, forse anche, di abbandono di
Pantelleria, a giudicare da quanto talune fonti ci riportano.
Valutazione sulla fattibilità del parco
La più grande delle isole cosiddette minori della Sicilia, una
delle più grandi dei Mediterraneo dopo Sicilia, Sardegna, Corsica
e Cipro, meriterebbe da sola di avere una sua particolare attenzione nella
gestione scientifica e nella valorizzazione turistica del suo ingente patrimonio
storico-archeologico che si sposa con un ambiente particolare ed ancora
entusiasmante per bellezza, particolarità ed integrità. Tuttavia,
paradossalmente, pochissimo è stato fatto per valorizzarne le sue
ingenti risorse. Ma quel poco che è stato fatto rivela una potenzialità
enorme e, soprattutto, una forte integrità. Da solo il comprensorio
di Mursia costituisce un unicum nel panorama archeologico mediterraneo.
Difficilmente si potrà trovare altrove un sito ove è possibile,
anche al profano, camminare tra le capanne della città dei vivi,
oltrepassare il muro di cinta conservato ancora per oltre metri dieci di
altezza e perdersi tra i numerosi tumuli funerari ancora in piedi e perfettamente
leggibili. In nessun altro luogo è possibile vivere l’emozione di
percepire con chiarezza la vita di un insediamento antico circa quattromila
anni. Da solo questo assunto autorizza a fare di questo sito un grande
parco archeologico. Ma vi è dell’altro che concorre a rafforzare
quanto detto. Le incomparabili testimonianze preistoriche sono inserite
in un paesaggio dalle altissime valenze ambientali essendo fortemente caratterizzato
sul piano geologico. Ci troviamo, infatti, all’interno di una colata lavica
dalle inusitate modellazioni e dai peculiari risvolti vegetazionali. Inoltre
la contiguità del mare con i suoi colori rende il complesso senza
ombra di dubbio unico nel suo genere al livello dell’intero Mediterraneo.
La visibilità della costa africana di Kelibia ci fa, infine, percepire
il ruolo di frontiera di questo insediamento e di quest’isola che, spostandoci
nel vicino insediamento fenicio-punico ed ellenistico-romano di Santa Teresa
e San Marco, risulta ancora più chiaro.
Perché unire le due realtà archeologiche in un unico
parco ?
La contiguità fenomenica è chiara e si giustifica se
si pensa che, in tempi diversi, fu la posizione intermedia dell’isola a
generare tanta ricchezza da rendere possibile la nascita e lo sviluppo
rigoglioso di questi due insediamenti altrimenti inspiegabili.
Il tutto si configura, pertanto, come un grande parco archeologico
dove il visitatore può capire come l’uomo fu capace, ripetendo analoghe
esperienze con mezzi diversi date le epoche diverse, a realizzare in un
ambiente, certamente non facile, condizioni di vita ottimali. Più
che un parco lo potremo, quindi, definire “laboratorio adottivo dell’uomo
antico” che ci aiuta a capire che è sempre possibile trovare una
sapiente via allo sviluppo ecosostenibile. In epoca preistorica (circa
quattromila anni fa) ed in epoca arcaica, classica, ellenistica e romana
(tra 28 e 16 secoli fa) l’uomo seppe in quest’isola trovare le risorse
per realizzare ottimali condizioni di vita. Tutto ciò che potrebbe
sembrare il risultato di un’ermetica ricerca altamente scientifica, in
effetti, ne travalica i limiti poiché a Pantelleria, nei due insediamenti
indicati, tutto ciò si materializza in vestigia di grande spessore
evocativo, di ottima valenza monumentale e di grandissima potenzialità
turistica.
Non è, infatti, da dimenticare, ritornando alla realtà
odierna, che Pantelleria è una delle mete turistiche più
rilevanti del Mediterraneo non tanto per fattori quantitativi, quanto per
elementi qualitativi di prim’ordine. È, infatti, nell’ambito dei
circuiti turistici “intelligenti” (oggi in rapidissima espansione) che
Pantelleria riveste un ruolo primario e sempre più ne rivestirà
nell’immediato futuro. Turismo a Pantelleria non significa solo mare, come
altrove. Significa mare incontaminato misto a paesaggio naturale (vulcanesimo)
e storico (adattamento rurale), ad architettura rurale unica nel suo genere
(dammusi) e a peculiare gastronomia. La valenza archeologica - immensa
agli occhi degli specialisti - deve tramutarsi in grande occasione per
ottimizzare l’offerta turistica di qualità già esistente
in modo da rendere l’isola meta di grande pregio al livello mondiale. Oggi
tale valenza è parzialmente visibile, ma soprattutto non valorizzata.
Analizzando le sconfitte del passato si ritiene l’occasione della realizzazione
del parco, come struttura autonoma di valorizzazione scientifica e gestione
delle risorse, l’unica che possa porre in futuro nella giusta luce e nella
corretta considerazione le ingenti risorse storico-archeologiche di quest’isola.
Considerazioni sulla perimetrazione
Le zone proposte come elementi costitutivi del Parco Archeologico delle
antiche capitali di Pantelleria coincidono con le aree perimetrate
e vincolate nel Piano Territoriale Paesistico relative al villaggio preistorico
dei “Sesi” in contrada Mursia ed all’insediamento fenicio-punico / ellenisticoromano
di Santa Teresa e San Marco (altrimenti definiti “Acropoli”). Queste costituiscono
le zone A del parco. Le zone B, sono costituite dall’area di rispetto già
definita nel P.T.P. intorno all’area di Mursia e nella vasta area d’interesse
archeologico che circonda la zona dell’insediamento di Santa Teresa e San
Marco, anch’essa già perimetrata e normata nel suddetto P.T.P. (D.A.
8102 del 12.12.1997) |