I C - I  PARCHI ARCHEOLOGICI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE
La conservazione del patrimonio archeologico internazionale e la sua messa in valore hanno costituito materia di accordi internazionali, che esprimono la necessità di un regolamento pattizio della circolazione del patrimonio archeologico tra gli Stati, argomento questo nel quale rilevano esigenze fondamentali e talvolta contrapposte, quali il diritto alla libera circolazione dei beni in ambito comunitario ( consacrato dal Trattato istitutivo dell’Unione Europea) e la difesa dell’immagine e della cultura dei popoli, strettamente collegata alla conservazione in situ delle testimonianze archeologiche.
Strettamente correlati a questa problematica sono le questioni, anch’esse soggette a una disciplina convenzionale, della salvaguardia del beni archeologici illegittimamente sottratti dal territorio di uno Stato, nonché della ricerca  dei beni archeologici sommersi.
Prescindendo da quest’ultimo argomento, avente peraltro enorme importanza e strette connessioni con il diritto della navigazione, oltre che con il diritto pubblico e privato internazionale , si rammenta che l’Unione Europea ha disciplinato l’esportazione dei beni culturali  con il regolamento CEE n. 3911/92 del Consiglio, del 9 dicembre 1992, modificato dal Regolamento (CE) n. 2469/96 del Consiglio, del 16 dicembre 1996, proprio allo scopo di “assicurare un controllo omogeneo alle frontiere esterne della Comunità ai reperti archeologici e agli arredi provenienti dallo smembramento di monumenti archeologici”, introducendo, in subiecta materia, alcune limitazioni al principio generale di libero scambio dettato dai Trattati di Roma e di Maastricht; mentre, con la direttiva CEE del Consiglio del 15 marzo 1993, la stessa UE ha riconosciuto il diritto alla restituzione di beni culturali usciti illegalmente dal territorio di uno Stato membro, disciplinando la relativa azione.
Quanto ai contenuti dell’attività di ricerca e di musealizzazione del patrimonio archeologico, che certamente afferiscono anche all’organizzazione dei parchi archeologici, si rammentano la Carta di Atene, stipulata in calce alla Conferenza Internazionale di Atene del 1931, primo e importantissimo documento di una lunga serie che ha portato, più recentemente alla definizione della Convenzione per la Protezione del Patrimonio Archeologico Europeo (La Valletta, 16 Gennaio 1992).
I contenuti della Carta di Atene hanno direttamente influenzato la formazione della Carta Italiana del Restauro - Norme per il restauro dei monumenti, avvenuta nel 1932 ad opera del Consiglio Superiore per le Antichità e Belle Arti. La Carta, all’art. 10, espressamente prescrive “che negli scavi e nelle esplorazioni che rimettono in luce antiche opere, il lavoro di liberazione debba essere metodicamente e immediatamente seguito dalla sistemazione dei ruderi e dalla stabile protezione di quelle opere d'arte rinvenute, che possono conservarsi in situ”.
Nel 1964, in una prospettiva del tutto diversa e in un periodo di grande riflessione sulla compromissione dell’identità culturale degli italiani e sul concetto stesso di “bene culturale” (l’insediamento della Commissione Franceschini è coevo), viene alla luce la Carta di Venezia, documento  che continua a mantenere grande importanza, almeno programmatica, per la definizione della natura e delle funzioni di un parco archeologico.
 Sembra a questo riguardo opportuno sottolineare quanto stabiliscono alcuni articoli della Carta di Venezia, e precisamente: 
q Art. 5 ? La conservazione dei monumenti è sempre favorita dalla loro utilizzazione in funzioni utili alla società: una tale destinazione è augurabile, ma non deve alterare la distribuzione e l'aspetto dell'edificio. Gli adattamenti pretesi dalla evoluzione degli usi e dei consumi devono dunque essere contenuti entro questi limiti. 
q Art. 6 ? La conservazione di un monumento implica quella della sua condizione ambientale. Quando sussista un ambiente tradizionale, questo sarà conservato; verrà inoltre messa al bando qualsiasi nuova costruzione, distruzione ed utilizzazione che possa alterare i rapporti di volumi e colori. 
q Art. 15 ? I lavori di scavo sono da eseguire conformemente a norme scientifiche ed alla "Raccomandazione che definisce i principi internazionali da applicare in materia di scavi archeologici", adottata dall'UNESCO nel 1956. 
 Saranno assicurate l’utilizzazione delle rovine e le misure necessarie alla conservazione ed alla stabile protezione delle opere architettoniche e degli oggetti rinvenuti. Verranno inoltre prese tutte le iniziative che possano facilitare la comprensione del monumento messo in luce, senza mai snaturare i significati. È da escludersi "a priori" qualsiasi lavoro di ricostruzione, mentre è da considerarsi accettabile solo l’anastilosi, cioè la ricomposizione di parti esistenti ma smembrate. Gli elementi di integrazione dovranno sempre essere riconoscibili, e limitati a quel minimo che sarà necessario a garantire la conservazione del monumento e ristabilire la continuità delle sue forme. 
q Art. 16 ? 1 lavori di conservazione, di restauro e di scavo saranno sempre accompagnati da una rigorosa documentazione, con relazioni analitiche e critiche, illustrate da disegni e fotografie. Tutte le fasi di lavoro di liberazione, come gli elementi tecnici e formali identificati nel corso dei lavori, vi saranno inclusi. Tale documentazione sarà depositata in pubblici archivi e verrà messa a disposizione degli studiosi. La sua pubblicazione è vivamente raccomandabile. 
A questi principi fanno seguito quelli della nota Carta Italiana del Restauro del 1972, della quale si debbono intendere richiamate quelle contenute nell’ Allegato a), avente ad oggetto le istruzioni per la salvaguardia e il restauro delle antichità. 
Più di recente, il tema dell’archeologia è diventato occasione di vari interventi da parte di soggetti nazionali, ma soprattutto sopranazionali, nei quali alla peculiarità delle risorse finanziarie adoperate si accompagna un approccio sistemico alla prospettiva archeologica ricca di contenuti fortemente innovativi. 
Citiamo, a titolo di esempio, il Progetto Finalizzato Beni Culturali del C.N.R., il programma PARNASO, gli impegni progettuali della Confindustria a sostegno della cultura, le politiche culturali della Commissione Europea.
Dato comune di questi nuovi programmi è il rapporto che viene postulato fra il sistema dei "segni dell’uomo" e l’ambiente, concepito come somma delle forme naturali e delle forme antropiche, immagine quotidiana del colloquio costante dell’uomo con la natura, in un succedersi ininterrotto di rimandi in cui ciascun interlocutore esercita sull’altro la propria influenza e ne è, contemporaneamente, influenzato.
L’archeologia, intesa come storia del territorio e dell’ambiente, rientra allora nella più vasta prospettiva della valorizzazione e gestione del paesaggio antropico e si articola in proposte di forme e modelli di organizzazione museografica nei quali vengono messe in valore le testimonianze di "cultura e natura" e le aree naturali e paesaggistiche di interesse multiculturale. 
Parchi  naturali, parchi   tematici,  si- ti archeologici  all’aperto,   ecomu-sei,  musei diffusi, sistemi museali  e  network  fra  parchi   rappresentano al- trettanti  punti  di  vista per offrire una risposta   unitaria  alle istanze  della  conservazione  e, insieme, a quelle della comunità degli uomini che deve educarsi a conosce- re e riconoscere il proprio heimat.
Appare a que-sto riguardo meri-tevole di  menzio-ne  Euromed Heri-tage,  programma di partenariato euro-mediterraneo che comprende   sedici  progetti destinati  al  patri-
monio culturale, fondato sui principi  della Dichiarazione di Barcellona del novembre '95, e quindi mirante a costruire una migliore comprensione reciproca tra gli specialisti scientifici e culturali del settore, ma soprattutto fra i popoli stessi.
Fa parte di Euromed Heritage il progetto P.I.S.A. – programmazione integrata per i siti archeologici – che si fonda appunto sulla necessità di attenzionare il nesso che corre tra il patrimonio archeologico e il territorio in cui esso è inserito, perché solo dalla considerazione del patrimonio archeologico nell'ottica di una visione complessiva della realtà territoriale intesa come insieme di manufatti, di storia, morfologia del  paesaggio, attività economiche, tradizioni culturali, è possibile costituire una relazione tra il patrimonio e l'idea di uno sviluppo locale sostenibile. 
Nel momento in cui si considera il patrimonio archeologico come fattore di sviluppo e non più soltanto come vestigia di una tradizione, il settore della imprenditoria, della pianificazione e dello sviluppo si affianca e  si confronta con quello della ricerca e della tutela. 
Ciò richiede un impegno del tutto nuovo e maggiore da parte degli operatori culturali, in quanto il difficile equilibrio tra conservazione e valorizzazione va risolto mettendo al centro di una corretta gestione del patrimonio culturale la trasmissione del bene e dei valori storici e culturali ad esso inerenti; la ricerca di una redditività economica, l’attenzione per le filiere produttive e le ricadute occupazionali della gestione non deve pregiudicare o contraddire tali valori.
La piena realizzazione della "programmazione integrata" implica allora una nuova interpretazione del rapporto tra ruolo dei "manager" del sito e ruolo della comunità. 
E' proprio da qui che nasce l'esigenza necessaria della concertazione: non esiste infatti più, se mai è esistita, una mano invisibile che riporti ad unità decisioni prese in contesti (istituzioni, imprese, fruitori) e finalità (sociali, economiche, culturali)  discordanti. 
La necessaria connessione tra i comportamenti dei singoli richiede, in primo luogo, che tutti partecipino, con diverse responsabilità, alla definizione dell'obiettivo.
Ogni piano d'intervento, insomma, si realizza esclusivamente sulla base del consenso fra tutti i protagonisti del settore, alternativo ad una concezione del patrimonio intesa in termini elitari di ricerca accademica.
Corrispondono a questi parametri alcune importanti e consolidate realizzazioni, già da tempo attive in area europea ed extraeuropea, come la Saalburg in Assia, l’Archéodrome de Bourgogne, il Parco nazionale del Qumran presso il Mar Morto, il Parco nazionale del Peak District nel Regno Unito, il Centro Archeologico Europeo di Bibracte. 
Sono realtà che non corrispondono a una weltanshaung unitaria e offrono anzi un panorama composito delle possibili soluzioni organizzative, tutte in larga misura eccentriche rispetto a quelle tradizionali. 
Si ritiene che per la progettazione dei parchi archeologici siciliani sia importante conoscere e analizzare quali ricadute abbia avuto sul territorio la loro attività, il coinvolgimento delle comunità locali e gli aspetti manageriali ed economici relativi.