I B - I PARCHI ARCHEOLOGICI NELL’ORDINAMENTO ITALIANOSino al 2000 non era mai stata adottata una definizione normativa di "parco archeologico" se non da parte delle leggi regionali.Con circolare n. 12059 del 15.11.1990, il Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali, aveva per la verità chiarito che si deve intendere per Parco Archeologico un’area protetta nella quale, per la consistenza di presenze monumentali, può individuarsi e definirsi uno spazio di particolare valenza quale Museo all’aperto. Definizione certamente importante, dalla quale è originato un lungo dibattito tra gli addetti ai lavori, mentre, nella prassi e in legislazione, i termini parco, area, sito o zona archeologica continuavano ad essere usati indifferentemente. L’art. 9 della legge 352/97, che ha attribuito alla soprintendenza di Pompei autonomia scientifica, organizzativa, amministrativa e finanziaria per quanto concerne l'attività istituzionale, con esclusione delle spese per il personale e che costituisce il precedente più immediato della l.r.20/2000, ha così a suo oggetto non già il parco archeologico ma bensì le “aree archeologiche” di Pompei. Costituiva e ancora costituisce un’acquisizione interpretativa consolidata quella secondo cui il concetto di parco archeologico va riferito a una considerevole estensione territoriale, nella quale l’aspetto naturale sia comunque fortemente connaturato all’ambiente. Un parco archeologico richiede da questo punto di vista la presenza di un complesso monumentale antico, che deve realmente rappresentare l’elemento qualificante di un ampio paesaggio di contorno, caratterizzato a sua volta da proprie qualità ambientali. In caso di assenza di elementi archeologici monumentali si può usare la definizione di parco naturale, mentre i complessi archeologici che non abbiano quel rapporto pregnante con l’ambiente naturale di cui si è detto sopra potranno essere compresi nella tipologia delle aree archeologiche, intese, solitamente, come uno spazio di proprietà pubblica di limitata estensione (alcune decine di ettari), gestito direttamente dalla amministrazione di tutela. Inoltre, il collegamento tra la dimensione areale del bene archeologico e la sua fruizione, proprio del concetto di parco archeologico ( e che, come si vedrà, è stato espressamente richiamato dalla più recente legislazione), presuppone che l’area stessa, oltre che integra dal punto di vista archeologico e ambientale, sia stata acquisita al demanio dei Beni culturali o sia in via di acquisizione. Il progressivo radicamento di questi concetti, in antitesi con l’abuso che da parte dei vari animatori turistici continua a farsi del termine di “parco archeologico”, è dimostrato dall’esame delle varie iniziative e proposte che si sono andate perfezionando nel corso degli ultimi anni. All’inizio del decennio scorso, in Sicilia, il Comitato per i parchi e per la valorizzazione del patrimonio ambientale, archeologico e paesaggistico della città di Siracusa, ha proposto la realizzazione di un sistema di parchi archeologici - ambientali comprendente tutte le aree di vincolo all’interno del perimetro delle mura dionigiane e quelle già sottoposte a vincolo paesaggistico e naturalistico, prevedendone la salvaguardia e la valorizzazione turistico-culturale. Il Comitato ha suggerito come strumento di attuazione di tale sistema, la costituzione di una authority frutto di accordi istituzionali tra amministrazione regionale, provincia, regione, comune e privati, sul modello di quanto si stava cominciando a sperimentare in Toscana con il progetto del "parco tematico della civiltà degli Etruschi". In questo caso, infatti, la Soprintendenza ha concesso a una società, di proprietà per il 77% delle amministrazioni locali e per il rimanente di privati, la gestione dell’area archeologica demaniale di Populonia e di tutte le strutture che vi si trovano. In cambio, la società mista pubblico-privata si è assunta la responsabilità della tutela e della conservazione dei beni che le sono stati affidati. Un’altra esperienza interessante è sicuramente quella del Parco archeologico di Vulci nel Lazio, per il quale è stato stipulato un accordo tra il Ministero e i due Comuni in cui ricadono le aree destinate a parco archeologico. La gestione delle attività, è stata, affidata a una società, il cui compito specifico sarà quello di rendere concreta la migliore fruizione dei servizi valorizzandone le funzioni. Emergeva intanto sempre più chiara la convinzione che le vecchie procedure di vincolo non sono più sufficienti, perché immobilizzano il bene in una situazione di irreale isolamento: la legge di tutela, se stabiliva quello che "non si può fare" per evitare di danneggiare il patrimonio archeologico, non precisava in alcun modo "che cosa si deve fare" per la costituzione di un luogo in cui i beni culturali, quelli cioè legati all'ambiente e al territorio e gli altri dovuti alla presenza antropica nel tempo, si fondano tra loro armoniosamente e siano messi a disposizione del cittadino. Si arriva così al Testo Unico 29 ottobre 1999, n.490, il quale ha proposto all’articolo 94 la seguente definizione: "si intende per parco archeologico l’ambito territoriale caratterizzato da importanti evidenze archeologiche e dalla compresenza di valori storici, paesaggistici o ambientali, attrezzato come museo all’aperto in modo da facilitarne la lettura attraverso itinerari ragionati e sussidi didattici". Tale formula, se costituisce lo sviluppo di quella adottata nella suddetta direttiva ministeriale del 1990, ne rappresenta per altro verso il superamento, laddove, in piena aderenza con il concetto di bene culturale proposto dall’articolo 148 del Decreto legislativo 112/98, sembra postulare quale fondamento del parco archeologico la connessione intercorrente tra la tutela dei beni e la promozione delle attività culturali, che costituisce infatti uno dei principi fondamentali cui si ispira il disegno di riforma del settore. Questa definizione di parco archeologico sembra rispecchiare anche l’enunciato di cui all’articolo 134 del D. L.vo 112/98, secondo cui "sono beni ambientali, quelli individuati in base alla legge quale testimonianza significativa dell’ambiente nei suoi valori naturali o culturali". In pratica il legislatore tende a accomunare i due concetti di parco come bene culturale e parco come bene ambientale in un’unica definizione di "patrimonio culturale" che racchiude in sé la duplice esigenza della conservazione e della pubblica fruizione del bene stesso e fa emergere la sua funzione sociale e culturale. In questa nuova ottica viene esaltata la funzione che il parco assolve nella sua specificità e quindi il valore che esso esprime, in conformità del resto all’intervenuta estensione dell’oggetto della tutela, che, nell’impianto del D. Leg.vo 368/98, abbraccia anche le “attività culturali” che, sebbene non trovino un supporto in cose materiali, rivestono egualmente particolare pregio. Ma nel Testo Unico, come del resto può riscontrarsi anche nelle leggi che in questa materia sono state emanate nel corso del tempo dalle altre Regioni (tra le altre, Molise e Basilicata), è sostanzialmente assente ogni riferimento al “Parco Archeologico” come soggetto istituzionale. E’ questo un contributo del tutto originale della legge n.20 del 3 novembre 2000, emanata dalla Regione siciliana, la quale aveva del resto assunto una serie di precedenti determinazioni riguardanti i parchi archeologici. Si fa riferimento all’art. 15, lett. e), della l. r. 78/76, che ha introdotto un divieto assoluto di edificare nella fascia di rispetto di 200 metri dai confini dei parchi archeologici, all’articolo 25 della legge regionale 10 agosto 1985, n.37 e al successivo D. P. Reg. 13 giugno 1991, che recavano menzione del Parco archeologico di Agrigento successivamente istituito e, infine, all’ormai abrogato art. 107 della l. r. 25/93. Questa norma, con la quale venne per la prima volta introdotta nell’ordinamento la figura giuridica del parco archeologico, è rimasta in realtà priva di qualsiasi attuazione. Ciò è dipeso solo in parte dalla difficoltà di individuare e di perimetrare le diverse aree dei Parchi, da sottoporre a regimi di tutela differenziati (una prima area, interessata dalla presenza dei resti archeologici monumentali; e due diverse zone di rispetto, finalizzate a evitare, con strumenti per la verità indefiniti, ogni possibile compromissione del contesto archeologico) La legge sui parchi del 1993, infatti, chiara ed esauriente nelle finalità generali, non lo era altrettanto negli obiettivi concreti, lasciando così in sospeso le domande fondamentali, vale a dire come e per quali finalità gestire un parco archeologico. Insieme a disposizioni di difficile inquadramento e di ancora più problematica applicabilità (si pensi alla “automatica” acquisizione al demanio regionale dell’area del parco vera e propria e di quelle di rispetto circostanti, fonte questa di oneri finanziari di imprecisata ma rilevante consistenza; oppure all’integrazione altrettanto automatica dei piani regolatori per effetto delle prescrizioni dettate dalle Soprintendenze a salvaguardia dell’area del parco), la normativa palesava la sua carenza principale proprio nella mancata attribuzione di qualsiasi forma di autonomia al Parco, totalmente privo di proprie competenze e soprattutto di autonomia decisionale in ordine alla gestione dei beni culturali compresi nel suo territorio, la cui amministrazione veniva esplicitamente riservata alle Soprintendenze regionali, da cui venivano fatti strutturalmente dipendere i direttori del Parco. Restava del tutto inconciliabile con questo assetto organizzativo il modello gestionale corrispondente all’articolo 148 del decreto legislativo 112 del 1998, che comprende “ogni attività diretta, mediante l’organizzazione di risorse umane e materiali, ad assicurare la fruizione dei beni culturali e ambientali, concorrendo al perseguimento delle finalità di tutela e di valorizzazione” e che richiede l’introduzione di organismi dotati di autonomia contabile ed operativa, capaci di processi di organizzazione non solo dei mezzi propri della pubblica amministrazione, ma anche delle risorse esterne, in particolare di imprenditori privati, spinti ad investire nel bene culturale ed in attività ed esso legate e da esso incentivate. Il collegamento con la realtà produttiva locale passa attraverso la stipulazione di protocolli d’intesa, patti d’area, accordi, consortili e di tutti gli strumenti che mirano a creare attorno al bene culturale una rete di interventi pubblici e privati che, prendendo spunto ed occasione dall’esistenza del bene culturale e dalla domanda di fruizione, forniscono servizi, strutture e utilità a livello imprenditoriale e favoriscono in tal modo lo sviluppo economico delle zone interessate. Nasce da queste considerazioni una diversa visione del parco archeologico, che parte dalla premessa che, così come ha insegnato l’esperienza dei parchi naturali, per superare l’ostilità delle popolazioni locali occorre, sin dal momento della sua istituzione, prevedere una forte autonomia della struttura del parco, dotata dell’autorità per promuovere con i privati la elaborazione di un ampio piano di attività produttive di contorno. Coerentemente, il Titolo II della legge regionale 3 novembre 2000, n.20, che ha istituito il sistema dei Parchi archeologici regionali, ha abrogato espressamente l’art.107 della l. r. 25/93 e ha effettuato una riscrittura complessiva di quella disciplina, ancorandola ai principi che in quello stesso tempo si andavano affermando in sede di riforma della normativa dei beni culturali e ambientali. La legge pone l’accento sull’aspetto istituzionale e sull’autonomia dei nuovi Enti di gestione, il che rappresenta un’innovazione di non poco conto per l’intera Regione siciliana, in quanto costituisce la prima concreta attuazione di istituti desunti dalla riforma della Pubblica Amministrazione, solo recentemente accolta nell’ordinamento siciliano. Le FINALITA’ della norma sono espresse all’articolo 20, secondo cui il “sistema” di parchi archeologici regionali è preordinato alla salvaguardia, gestione, conservazione e difesa del patrimonio archeologico regionale, nonché a consentire le migliori condizioni di fruibilità a scopi scientifici, sociali, economici e turistici dello stesso. Si tratta di un’affermazione di principio, ma anche di una scelta di campo, perché indica la volontà del legislatore di perseguire gli stessi obiettivi - e, in particolare, quello della gestione dei beni culturali – seguiti dallo Stato in sede di riforma dell’Amministrazione di settore, giusta i decreti legislativi 112/98 e 368/98, dai quali vengono mutuati, estendendoli, gli strumenti operativi che tendono alla razionalizzazione e al miglioramento dell’efficienza della macchina burocratica. Va sottolineato, in particolare, l’uso del concetto di “sistema”, con il quale viene affermata la volontà di individuare le aree da erigere a Parco secondo criteri di coerenza scientifica, da esporre in un atto, avente natura programmatica, con il quale l’Assessore individua “le aree che, in relazione alla presenza di rilevante patrimonio archeologico, possono essere istituite in parco archeologico regionale”. Il che risulta coerente con l’attività pregressa di un’amministrazione già distintasi nel campo della pianificazione territoriale e comunque tende a sottrarre la fase di individuazione dei Parchi archeologici dai condizionamenti e dai particolarismi della politica. Come si è detto, la legge si diffonde sugli ORGANI del Parco. Questi sono il Direttore e il comitato tecnico - scientifico. Il primo, che è la figura centrale del nuovo istituto, non soltanto esercita tutte le funzioni di gestione del Parco, del quale è legale rappresentante, ma è anche il responsabile dell’attività tecnico scientifica che si svolge sul territorio. Spetta infatti al direttore il compito di predisporre sia lo schema di regolamento del parco – nel quale l’organizzazione e il funzionamento del Parco sono modellati sulle specifiche valenze delle singole aree – sia il programma annuale e pluriennale di attività, che, viene chiarito, comprende tutti gli interenti deputati alla ricerca e alla valorizzazione del patrimonio archeologico del Parco. Il secondo, composto da esperti e da rappresentanti istituzionali, esercita una funzione consultiva su tutti gli atti del direttore. Il comitato esprime altresì il parere richiesto dalla legge di tutela per l’esecuzione degli interventi compresi nel programma del Parco, per i quali si prescinde quindi dall’autorizzazione della Soprintendenza per i beni culturali e ambientali. Quest’ultimo organo mantiene peraltro un ruolo importante all’interno del Parco, quantunque esso venga disgiunto dalle funzioni di gestione del Parco, che sono riservate al suo direttore. In particolare, il Soprintendente presiede il comitato tecnico scientifico e ha il compito esclusivo di procedere alla progettazione dei parchi, già individuati dall’Assessore regionale ai sensi dell’articolo 20, secondo comma, della legge, che ricadono nella provincia di competenza: il che comporta la individuazione e la perimetrazione dell’area archeologica e delle sue fasce di rispetto, nonché la predisposizione dello schema di regolamento del Parco e in particolare delle norme che fissano “modalità d'uso, vincoli e divieti” operanti nel territorio del parco, e ciò anche in variante alle previsioni del locale strumento urbanistico generale. Per questo motivo, il progetto di parco deve essere corredato del parere obbligatorio rilasciato dal Comune interessato. Questi, sinteticamente, i contenuti della legge sui parchi. L’onorevole Fabio Granata, Assessore dei Beni Culturali, a seguito dell’approvazione della legge sulla Valle dei Templi, ha dichiarato: “Finalmente il sistema dei Parchi Archeologici in Sicilia è una realtà. Esprimo grande soddisfazione per l’approvazione di una legge importante ed in linea con la volontà di tutelare e valorizzare il nostro patrimonio culturale. Si tratta certamente di una bella pagina di storia scritta dal nostro Parlamento. L’azione del governo, e l’inserimento degli emendamenti da noi presentati lo ha dimostrato, ha tracciato il percorso per organizzare attorno alle pietre e alla storia della Sicilia un sistema di rilancio culturale, economico e occupazionale. |