II B2 – PARCHI ARCHEOLOGICI: TRA ARCHEOLOGIA E URBANISTICA
L'archeologia intrattiene rapporti sempre più stretti con le discipline che governano il territorio e in particolare con l'urbanistica. La gestione dei suoli, le politiche edilizie, le grandi infrastrutture non possono fare a meno di misurarsi con lo stato di conservazione delle testimonianze archeologiche e i livelli di conoscenza che la cultura contemporanea da esse attinge.
Le ricerche archeologiche territoriali, ampiamente sviluppatesi nei settori della diagnostica e della interpretazione, rappresentano il fondamento scientifico per una lettura diacronica delle tipologie insediative. Al tempo stesso esse rappresentano il presupposto tanto per le politiche urbanistiche quanto per la gestione della tutela. Il rapporto tra ricerca, tutela e urbanistica rappresenta quindi un nodo fondamentale nel quale l'archeologia, nei suoi aspetti teorici e pratici, svolge un ruolo indispensabile, di cui si sta prendendo progressivamente coscienza anche nel nostro paese.
L’interesse l’archeologico, con l’entrata in vigore della legge 431/85, può essere oggetto di due tipi di tutela concorrenti: quella storico-artistica della legge 1089/39, che impone un vincolo diretto sul singolo bene ed, eventualmente, indiretto su aree circostanti, e quella paesistica della legge 1497/39, che tutela l’intero territorio su cui è ubicato il bene, in quanto l’area presenta un’attitudine alla conservazione e fruizione del contesto di giacenza del patrimonio archeologico. 
Tale sovrapporsi di vincoli può evidentemente comportare un aggravio delle procedure amministrative, in quanto l’amministrazione competente alla tutela dei beni archeologici e di quelli paesaggistici, deve di volta in volta esaminare, in sede di autorizzazione, le implicazioni dei progettati interventi tanto con l’interesse archeologico del sito quanto con lo stato dei luoghi. Per ancorare l’attività degli istituti di tutela a criteri di certezza, con nota n. 2471 del 7 novembre 1987 l’ Assessorato dei beni culturali e ambientali precisava che “la L. 431, sottoponendo ai vincoli della L. 1497/1939 le zone di interesse archeologico” ha “voluto prendere in considerazione tutte le zone in cui un interesse archeologico sia stato già territorialmente individuato ai sensi della legislazione preesistente” e quindi   le “zone di eccezionale interesse archeologico la cui individuazione e delimitazione sono state operate, in taluni casi, con leggi speciali: ad es., la valle dei Templi” nonché “le zone di interesse archeologico già individuate e delimitate ai sensi della L. 1° giugno 1939, n.1089”, con riferimento alle aree sottoposte al “vincolo indiretto di cui all’art. 21 della L. 1089”, come pure, infine, “le zone di interesse archeologico individuate a mezzo degli strumenti urbanistici”. Pur con queste avvertenze, era sin da quel momento evidente che la individuazione delle zone di interesse archeologico da parte dell’art.1, lett.m) della legge Galasso demandava alla necessità di perimetrare, definendone i confini, i paesaggi caratterizzati da elementi archeologici: il che è stato fatto nel corso del tempo da parte delle varie Soprintendenze, con risultati che sono tra l’altro riportati tra gli elaborati delle Linee Guida del Piano Territoriale Paesistico Regionale.
L’esigenza di perimetrazione della zona per l’attuazione della tutela paesaggistica, consiste nella necessità di definire caso per caso, in termini quantitativi,la relazione spaziale tra il complesso monumentale archeologico e il suolo sul quale il complesso insiste. 
A più pregnanti necessità di certezza del diritto corrisponde invece l’esigenza di perimetrare i parchi archeologici regionali ai fini dell’applicazione del divieto di costruire previsto dall’articolo 15, lett. e), della legge regionale 12 giugno 1976, n.78, che ha introdotto una fascia di protezione, della profondità di 200 metri, dai confini dei parchi archeologici.
La legge regionale, che è del 1976, è risultata così tanto anticipatrice da risultare inattuata e inattuabile. Dopo qualche incertezza interpretativa, infatti,  il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana (cons. n. 211 del 16.4.1996),  ha chiarito che << ... Dall’analisi della suddetta normativa discende che il legislatore regionale ha sempre ritenuto necessario, sia ai fini dell’istituzione che della delimitazione dei parchi archeologici, l’adozione di uno specifico, articolato e tassativo procedimento; ha cioè sempre inteso i concetti di “parco archeologico “ e di “confini del parco archeologico” in senso rigorosamente giuridico, quali frutto di determinazioni e qualificazioni espressamente operate a tal fine dall’ordinamento, e non già in base ad un semplice riferimento al fatto storico - naturalistico della presenza di beni archeologici in un’area che in astratto sarebbe  possibile  e necessario sottrarre all’antropizzazione. Deve quindi ritenersi che il citato art. 15  della  l. r. n. 78/76 si sia limitato a fare riferimento ai futuri parchi archeologici che il legislatore regionale dell’epoca evidentemente riteneva di imminente formale istituzione; e quindi non operi nei confronti di aree di interesse archeologico in cui non sia ancora istituito un parco archeologico.”
Ne è derivata la conseguenza, singolare sotto il profilo eminentemente logico, che una norma di tutela adottata dal legislatore nel 1976 non è operante e non lo sarà fino a quando non saranno entrati a regime gli istituti della legge regionale del 2000 che ha istituito i parchi archeologici. 
Il che sottolinea peraltro la necessità di circondare la fase di individuazione e di perimetrazione dei confini dei parchi, delle necessarie cautele e  approfondimenti, in quanto essa costituisce il presupposto per l’entrata in vigore di un vincolo urbanistico, quale quello previsto dalla norma sopra descritta, destinato ad operare erga omnes.
Sotto questo punto di vista, la norma in questione costituisce uno snodo essenziale, in quanto opera sul terreno nel quale le problematiche della tutela e della gestione del Parco si collegano a quelle della pianificazione territoriale e urbanistica. 
Si è già osservato, a questo riguardo, che mentre l’attività di tutela (che, giova sottolineare, è il presupposto dell’istituzione del Parco ma non si esaurisce con questo momento, perché costituisce un obbligo di legge) non richiede l’acquisizione di intese con le autorità preposte alla tutela di altri interessi pubblici, la realizzazione del parco è destinata a incidere anche sulle aree contermini, nelle quali il raggiungimento degli obiettivi del Parco non soltanto consente, ma richiede, la realizzazione di interventi che possono andare al di là di quelli meramente conservativi e possono comportare scelte di utilizzo e trasformazione del territorio di competenza di altre autorità.
Nel sistema fondato sulla legge 1089 era in realtà del tutto assente la prospettiva di uno strumento pianificatorio che disciplini e coordini l’assetto del territorio del parco nel senso della tutela dei valori storici e dello sviluppo urbanistico del Comune.
Rappresentativi di questo modello sono i più antichi parchi archeologici, quelli di Pompei e di Ercolano, che entrarono nella completa disponibilità statale attraverso l’espropriazione delle aree di proprietà privata. 
Attraverso lo strumento dell’esproprio si ottenne il duplice scopo di separare l’area archeologica dal contesto contemporaneo e riservare l’antica città alla ricerca archeologica, affidata nella sua interezza all’ente pubblico. Ma in tal modo si è determinata la rigida separazione dell’organismo urbano antico dal suo contesto di riferimento, che ha inciso negativamente sia sulla ricerca storica sia sulla gestione del territorio. 
Quanto al primo punto è sufficiente osservare che nessuna città è stata mai in grado di vivere da sola, senza la dialettica relazionale con il territorio che la circondava e dal quale traeva risorse. 
Sul secondo aspetto, relativo al governo del territorio, l’esempio più illuminante è forse quello di Paestum, che, malgrado la legge speciale voluta decenni fa da Umberto Zanotti Bianco, è stata stretta in una morsa asfissiante dalla inarrestabile cementificazione.
La legge regionale 20 del 2000 si prefigge obiettivi ben diversi e prevede alcuni precisi momenti di collegamento tra l’attività dell’Ente Parco e quella dei Comuni interessati, i quali non a caso sono presenti, così come l’autorità di tutela, all’interno del comitato tecnico scientifico, organo al quale spetta, tra l’altro, esprimere il parere necessario per l’approvazione dei programmi annuali e pluriennali del Parco.
E’ evidente che la preventiva conoscenza del programma delle attività del Parco da parte dei Sindaci competenti, e a maggior ragione la loro partecipazione alla procedura formativa del programma stesso, mette i Comuni in condizione di porre in essere quanto necessario per affiancare e sostenere le iniziative di gestione dell’Ente parco.
Sotto altro punto di vista, il Comune partecipa anche alla formazione del regolamento del Parco, che ha lo scopo di determinare “modalità d'uso, vincoli e divieti” che sono destinati a operare sul territorio del Parco, ad “integrazione e, qualora in contrasto, variante agli strumenti urbanistici vigenti nel territorio interessato”.
Prima dell’istituzione del Parco, lo schema di questo regolamento è sottoposto al parere obbligatorio del Comune, dal quale, con ogni evidenza, vanno contestualmente valutati anche gli altri elaborati che corredano la proposta di parco.
Tra questi rileva, come sopra si è chiarito, la perimetrazione del Parco, al cui interno, secondo la legge, vanno individuate un’area archeologica (zona A), un’area di rispetto (zona B) e un’area di interesse paesaggistico (zona C), avete natura meramente residuale e contenuto facoltativo.