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Il Museo  - Frantoio


Era il locale (trappitu) adibito alla produzione dell'olio. La macina verticale in pietra (mola suprana o currituri) avanzava, trascinata da un mulo bendato, sulla macina orizzontale (mola suttana), frantumando le olive che il mastru ri pala (maestro di pala) ammucchiava su di essa. Con la poltiglia prodotta il mastru ri cuonsu (maestro del torchio) riempiva i fiscoli (coffi), sacchi di fibre vegetali, che si disponevano sotto il torchio in legno azionato a mano con una stanga. La pressione prodotta faceva sgorgare olio misto ad acqua che scolava dentro un raccoglitore circolare in pietra lavica (lumera), bordato per il deflusso del liquido. Attraverso una breve imboccatura esso veniva convogliato nelle vasche di decantazione scavate nella roccia dove, per il peso specifico minore di quello dell'acqua, l'olio galleggiava e veniva raccolto manualmente alla superfice con un piatto di zinco o di terracotta (lumera) con due labbra a beccuccio, per poi essere versato in vari contenitori. Di fronte al torchio vi sono due vasche in muratura dette a morti (la morte) in cui si scaricava l'acqua di rifiuto dalla quale si ricavava un liquido oleoso per alimentare le lucerne e per la confezione del sapone. In un angolo si trova il torchio utilizzato per la lavorazione del miele. Veniva azionato a mano per la spremitura dei favi appositamente disposti nelle coffi e dai quali era gią scolato il miele di prima qualitą. La torchiatura rendeva miele di seconda scelta e materiale utile per la produzione della cera che veniva poi venduta alle botteghe dei ceroplasti (cirari) per la realizzazione di candele, figure di pastori, figure sacre.