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News del 16/11/2009

Musica e profumi fra una rasatura e un taglio capelli


I «SALONI» DI UNA VOLTA
I barbieri di una volta fra rimedi per tante malattie e romantici concerti
Barbieri che radono, che tagliano i capelli, che ascoltano musica dal vivo, che curano, che parlano e sparlano di tutto e di più; che raccolgono confidenze e ascoltano tra una sforbiciata e l’altra i racconti delle "Mille e una notte", non ci sono più. Non ci sono più neanche i musicisti che con i loro strumenti a plettro (chitarre, mandolini e banje), allietavano le serate. Molti di loro, prima di diventare abili virtuosi, erano passati da lì, dalla "Sala da Barba" meglio conosciuta come "Saluni". I mandolinisti catanesi Giovanni Gioviale (1885-1949) e Placido Reina (1883-1976) furono tra questi. C’era una volta. Già sì, c’era una volta la "Sala da barba". Non c’è cultore di Storia Patria o di tradizioni popolari che non si sia calato almeno una volta nel magico mondo dei "Saloni" . E’ di questi giorni la notizia della presentazione al Castello di Leucatia, del secondo volume "Musica dai saloni" curato da Gaetano Pennino e Giuseppe Maurizio Piscopo, col contributo di scrittori e giornalisti siciliani di fama. Almeno loro sì che riescono a dare ancora una voce a chi, nel frattempo scomparso, non può più raccontare». Dal barbiere, invece, una volta ci si "confessava"; ci si scambiavano utili informazioni, si spettegolava anche, si ironizzava sulle figure osè esposte nel calendarietto profumato ricevuto in omaggio: insomma, andarci non era mai tempo perso. Chi era il barbiere di una volta? Era un artista, un genio aduso a svolgere importanti funzioni sociali. In quella bottega dove tutto sembrava immobile, scorreva una linfa che alimentava un vero microcosmo. All’interno delle piccole comunità, quasi sempre il barbiere era considerato un’autorità al pari del Sindaco, al Maresciallo dei Carabinieri, al Parroco e al Farmacista. Per diventare barbiere, si doveva seguire prima una lunga "gavetta". Da qui la massima: "Senza essere prima "giuvini", non si po’, doppu, addivintari "mastru" (senza prima essere inserviente, non si può dopo diventare esperti). Sin dal Medioevo e fino alla metà del secolo scorso, il compito del barbiere non fu soltanto quello di radere la barba e tagliare i capelli, ma anche quello di esercitare la bassa chirurgia. Le botteghe dei barbieri, da centri preposti al soddisfacimento delle esigenze puramente estetiche della clientela, spesso si trasformavano in centri terapeutici dove ad essere propinati con successo furono i rimedi naturali. Il barbiere cerusico interveniva sì con modalità riferibili a ritualità simboliche come la rigenerazione del sangue attraverso l’uso delle "sanguisughe" ( na sbintata), ma anche nella cura o nella estrazione dei denti; nell’aspirazione dei grumi di grasso sotto la pelle (Butrogni). Dalle nostre parti, le migliori "sanguisughe" o "mignatte" dalla lunghezza di mezzo sigaro, erano quelle che si raccoglievano sulle sponde del fiume Simeto. Dopo l’uso, l’animale veniva tagliato a metà e messo a "scaricare" in mezzo alla creta, prima di essere buttato nella pattumiera. Col metodo del "Coppu" si curavano invece le polmoniti e i versamenti pleurici di piccola entità.. Facendo ricorso a un bicchiere di vetro e una semplice candela, l’umidità in eccesso veniva così "prosciugata" . La storia è piena di casi in cui si ricordano prodigiose guarigioni. Da "don Nunziu Ponziu" da’ Barrera, ad esempio, fino ai primi anni sessanta dello scorso secolo, si andava per radersi la barba e per conoscere i particolari di qualche pruriginoso pettegolezzo; ma anche per curare le malattie veneree e della pelle. Col solo ausilio delle erbe raccolte nei vicini campi, don Nunziu riusciva a risolvere casi a volte disperati. "Don Nunziu-chi è sta macchia ca mi cumpariu ’nte manu!?; e lui: Passa dumani ’a matinu, ca ti dugnu na cosa". Peccato che il segreto delle sue "ricette", non volle rivelarle mai a nessuno. Da mastru Privitera, al Canalicchio, infine, fu nota l’attività musicale. In quasi tutte le sale da Barba, i musicisti erano soliti intrattenere la clientela a suon di musica. Mazurke, tarantelle, valzer e tanghi, erano la specialità. Dopo una giornata di duro lavoro, i virtuosi degli strumenti a plettro si concedevano un po’ di relax; si riunivano nel retrobottega per continuare a suonare e a comporre indisturbati nel silenzio. SANTO PRIVITERA