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News del 16/10/2008

Passione e radici popolari nelle nenie siciliane dei fratelli Mancuso


Cantano stretti in un abbraccio che rivela la loro complicità, tengono il tempo con una mano poggiata sul petto per seguire il ritmo dei battiti del cuore, come strumento soltanto le corde vocali. Hanno aperto così Enzo e Lorenzo Mancuso il concerto offerto da Circuiti culturali dell’Università di Catania, associazione Darshan e Assessorato comunale alla Cultura, che martedì sera li ha visti protagonisti al Castello Ursino. Si sono presentati con "La voce nuda" i fratelli musicisti, compositori, poeti che portano la musica popolare siciliana in giro per il mondo, in un viaggio iniziato negli anni ’70 per lavorare e non per fare musica. Ma la musica, quella buona, è una radice che resta fedele alla sua terra d’origine, nonostante le migrazioni. Il loro percorso artistico è stato un cammino lungo la tradizione che li porta oggi ad essere tra i più acclamati esponenti della world music. A questo proposito, la dice lunga la loro collaborazione con il regista Anthony Minghella con il quale, nel ’99, hanno scritto la colonna sonora di "Il talento di mr. Ripley". Inoltre, il regista di "Il paziente inglese" (scomparso a marzo di quest’anno) aveva scelto un brano dei Mancuso per le musiche del suo ultimo film, "un rosario - hanno spiegato e che poi hanno eseguito - che i fedeli di Sutera cantano rivolgendosi alla Madonna Immacolata". Le loro canzoni sono quasi tutte composizioni originali, ma nella maggior parte di esse risuonano i temi, lo stile e l’espressività della tradizione, come in "Bella Maria". Passione e sacralità popolare emergono da una ricca trama di nenie impastate di sapori mediterranei, come nel brano "Sacciu chi parli alla luna", dal suono vagamente arabeggiante, o nella medievale "Signura Letizia", per poi proseguire in una sorta di "chill out" dell’estremo oriente con le note di "Mangarita", composta ispirandosi al suono del saz, la "chitarra saracena" e scandita dal ritmo del darbuka. I Mancuso cantano infatti in siciliano - come hanno spiegato anche agli universitari durante l’incontro di martedì al quale sono intervenuti anche il direttore della Casa museo "Antonino Uccello", Gaetano Pennino, e il delegato ai Circuiti culturali d’ateneo Sara Gentile - ma usano strumenti particolarissimi che non sempre appartengono alla tradizione siciliana, come la ghironda, che suonano tenendola appoggiata sulle gambe: "È uno strumento che abbiamo adottato, come si adottano le persone". Recitano in italiano il testo delle "poesie" che poi cantano in dialetto, ad occhi chiusi, come fa chi sente nel cuore la profondità di versi d’amore.