Pace e guerra.
Chi le vuole, chi le combatte.

Hannah Arendt
La guerra non restaura diritti, ridefinisce poteri.

J. e K. McGinnis
La pace non è assenza di conflitto. Il conflitto è un fatto inevitabile della vita quotidiana: conflitti interiori, interpersonali, tra gruppi e internazionali. La pace consiste nell’affrontare in modo creativo i conflitti. Pace è il modo di procedere per risolvere i conflitti in modo tale che entrambe le parti vincano, con accresciuta armonia come conseguenza dl conflitto e della sua risoluzione. La risoluzione è pacifica se i partecipanti arrivano a voler cooperare in modo più completo e si trovano nella condizione di poterlo fare.

Carlo Maria Martini
Potremmo dire che sulla parola "pace" non c'è pace, perché lungo i secoli della storia e ancora oggi essa viene intesa in maniere molto diverse, spesso restrittive. L'antichità classica considerava la pace semplicemente come una tregua tra due guerre, costituendo le guerre una condizione quasi permanente dell'umanità. Oppure si può pensare a una pace imposta con la forza delle armi, con la conquista, come avveniva al tempo dei romani. Nella versione più moderna, c'è la pace sicurezza, che è il risultato dell'equilibrio del terrore, delle forze che potrebbero annientarci e che, quindi, potenzialmente si elidono. Nei suoi significati più profondi, la pace significa armonia: armonia dell'uomo con Dio, dell'uomo con il suo prossimo e dell'uomo con la terra. Questa è la visione biblica armonica dei primi capitoli del libro della Genesi. E, ancora, c'è la pace-comunione: comunione profonda di amore di Dio con l'uomo e degli uomini tra loro, che è la pace portata da Gesù.
La pace dunque è composta di tanti elementi, ha il suo culmine nella pace-comunione e tuttavia non trascura le altre realtà e le altre situazioni terrene. Proprio per questo, è necessario continuamente ripensarla, riproporla nei termini attuali, affinché non sia una semplice astrazione, una semplice ideologia.

John Lennon
Combattere per la pace è come fare l'amore per la verginità.

Joseph Ernest Renan
E' con i poveri che i ricchi si fanno la guerra.

Baruch Spinoza
La pace non è assenza di guerra: è una virtù, uno stato d'animo, una disposizione alla benevolenza, alla fiducia, alla giustizia.

Don Lorenzo Milani
Certo ammetterete che la parola Patria è stata usata male molte volte.
Spesso essa non è che una scusa per credersi dispensati dal pensare, dallo studiare la storia, dallo scegliere, quando occorra, tra la Patria e valori ben più alti di lei.
Non voglio in questa lettera riferirmi al Vangelo. E' troppo facile dimostrare che Gesù era contrario alla violenza e che per sé non accettò nemmeno la legittima difesa.
Mi riferirò piuttosto alla Costituzione.
Articolo 11: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli...".
Articolo 52: "La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino".
Misuriamo con questo metro le guerre cui è stato chiamato il popolo italiano in un secolo di storia. Se vedremo che la storia del nostro esercito è tutta intessuta di offese alle Patrie degli altri dovrete chiarirci se in quei casi i soldati dovevano obbedire o obiettare quel che dettava la loro coscienza. E poi dovrete spiegarci chi "difese" più la Patria e l'onore della Patria: quelli che obiettarono o quelli che obbedendo resero odiosa la nostra Patria a tutto il mondo civile?
Basta coi discorsi altisonanti e generici.
Scendete nel pratico.
Diteci esattamente cosa avete insegnato ai soldati. L'obbedienza ad ogni costo?
E se l'ordine era il bombardamento dei civili, un'azione di rappresaglia su un villaggio inerme, l'esecuzione sommaria dei partigiani, l'uso delle armi atomiche, batteriologiche, chimiche, la tortura, l'esecuzione di ostaggi, i processi sommari per semplici sospetti, le decimazioni (...), una guerra di evidente aggressione, l'ordine di un ufficiale ribelle al popolo sovrano, la repressione di manifestazioni popolari?
Eppure queste cose e molte altre sono il pane quotidiano di ogni guerra.

Gandhi
O l'umanità distruggerà gli armamenti o gli armamenti distruggeranno l’umanità.

Giovanni Paolo II
La religione non deve mai essere utilizzata come motivo di conflitto. Cristiani e musulmani, insieme con i credenti di ogni religione, sono chiamati a ripudiare la violenza per costruire un'umanità amante della vita, che si sviluppi nella giustizia e nella solidarietà.

Come ha mostrato il gesto a suo modo eclatante e fortemente simbolico del sindaco di Messina in occasione dell’ultima festa della Forze Armate (egli ha esposto in silenzio una bandiera della pace nella quale veniva citato l’articolo 11 della Costituzione), il nostro presente appare spesso dilacerato tra due cruciali e alternative opzioni: quella di chi sostiene che per assicurare la pace occorra, in qualche modo, essere sempre pronti a combattere, secondo quanto suggeriva il motto latino “Si vis pacem, para bellum”; e quello, viceversa, di chi pensa che ogni atteggiamento volto a “preparare la guerra” prima o poi sfoci nell’entrare concretamente in una delle tante guerre che insanguinano il nostro pianeta.
Pace e guerra, dunque. Chi le vuole, chi le combatte? Certamente vogliono le guerre, o almeno una condizione continua di “pace armata”, coloro che dalle guerre traggono profitto o potere: i mercanti di armi e i tiranni di ogni risma, che attraverso la guerra (la chiamata in guerra) trovano spesso un espediente per rimuovere nella coscienza dei propri sudditi i guasti della società in cui essi vivono. In questi casi in genere, si assiste ad un larghissimo impiego delle retoriche e delle logiche “patriottarde”.
Chi commercia e traffica con le armi non ha neanche bisogno di tale alibi. Si tratta infatti, per costoro, di un business come tanti altri.
Chi combatte le paci sono gli integralisti di ogni genere, i quali ritengono che l’affermazione di un’identità etnica, religiosa o di qualunque altro genere sia un motivo sufficiente per sopprimere la vita di chi in tale identità non si riconosce.
Chi combatte le guerre sono i cosiddetti pacifisti, i quali ritengono che ogni guerra sia una specie di faida elevata alla potenza; che ogni guerra cioè si porti appresso tante e tali distruzioni che la pace che ne segue non potrà mai essere duratura, né duratura potrà essere la “libertà” che ne consegue. In tale prospettiva, la famigerata “enduring freedom” americana delle guerre irachene appare oggi in tutta la sua tragica fragilità, ove si rifletta sulla polveriera sempre accesa che il Medio Oriente costituisce.
Anche i militari che vanno in guerra spesso ci vanno “per difendere la pace”, per garantire la sicurezza, l’integrità territoriale e la libertà del proprio Paese. In questo senso, essi non combattono la pace, ma combattono per la pace. Il problema è però quello di accertare se sia sempre così, al di là della buona fede dei molti che credono di agire in tal senso. Il discorso si sposta allora sui vertici, sui Generali, sugli Stati Maggiori. Quanto le logiche della strategia, del potere, degli interessi dei gruppi economici (e non dei popoli) giocano nelle decisioni che vengono prese? Quanto pesano le ambizioni dei politici, le pressioni dei mercanti di armi, le ideologie basate sulla logica del “Deserto dei Tartari” (attendere armati fino ai denti l’arrivo di un nemico che forse non esiste)?
Sono, questi, temi cruciali che toccano da vicino la qualità della nostra vita, la percezione che noi possiamo avere sulle sorti del nostro pianeta e soprattutto la nostra concezione del mondo, che si riverbera tanto nelle macro quanto nelle micro-circostanze. Dopotutto, il tema della guerra è strettamente connesso a quello dell’aggressività, da alcuni ritenuta una “dote” naturale dell’uomo (come il giovane Alex del film Arancia Meccanica di Stanley Kubrick), da altri una deviazione destinata a creare sofferenza e infelicità, da Caino in poi.
Forse il tema centrale è proprio questo: il valore che ognuno di noi attribuisce alla vita umana, alla persona umana.
Il “Cortile dei Gentili” di maggio ci interpellerà tutti su tali tematiche.
Il dibattito sarà introdotto da due relatori d’eccezione: il sindaco di Messina Renato Accorinti (proprio lui!), e il filosofo Girolamo Cotroneo.

Sergio Todesco

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