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LE OREFICERIE GRECHE ARCAICHE

Con l'"età micenea" (inizio del II millennio a.C.) e l’avvento della civiltà dei grandi palazzi si sviluppò, nell’area dell’Egeo, una produzione orafa di alto livello artigianale destinata alle ricche aristocrazie.
Essa assunse un ruolo importante come simbolo di lusso e di prestigio e come ostentazione di potere nei confronti delle classi sociali più basse.
Questa tradizione si mantenne in Grecia attraverso i millenni, arricchendosi attraverso il contatto con artigiani orientali.
Nel periodo arcaico (VII - VI secolo a.C.) si manifestò una particolare attenzione per la creazione e l’esibizione dei gioielli, realizzati prevalentemente in argento.
Essa continuò, con l’inizio della colonizzazione, anche nelle nuove città dell’Asia Minore e dell’Occidente mediterraneo, con una produzione che si differenziava a seconda dei ceti cui era destinata.
In molte tombe delle colonie greche dell’Italia meridionale e della Sicilia, databili a partire dal VII - VI secolo a.C., si rinvengono, infatti, gioielli, per lo più in argento.

RICCHEZZA ED ESIBIZIONE SOCIALE NEL MEDITERRANEO ELLENISTICO (IV-I SEC. A.C.)

Nel V secolo a.C., l’artigianato orafo continuò a svilupparsi in maniera significativa, ma esplose in una ricerca di lusso e di ostentazione della ricchezza soprattutto dal IV sec. a.C.
L’oro e le pietre da ornamentazione, divenuti più accessibili, furono impiegati nella realizzazione dei monili, nonostante numerose leggi tentassero a più riprese di limitare l’uso dei gioielli e delle vesti preziose per evitare il conflitto sociale.
Si usavano diademi, corone, cuffie in oro per raccogliere i capelli sulla nuca, orecchini, collane, collane multiple da portare di traverso o incrociate sul petto (bandoliere), sigilli da sospensione, bracciali da avambraccio e da braccio, anelli, ma anche rifiniture e applicazioni in oro e argento per bottoni, vestiti, scarpe, abbinati a stoffe finissime, quasi trasparenti e riccamente colorate, di porpora o dipinte con scene figurate e ricamate.
Tutto ciò testimonia non solo la ricchezza, ma anche la cultura delle classi medie e alte delle città del Mediterraneo.
Alcuni gioielli sono vere e proprie opere d’arte. All’oro si aggiungevano inserti colorati ottenuti con applicazioni di metallo diverso, di smalti in pasta vitrea e di pietre preziose, soprattutto corniole, granati, smeraldi, calcedoni, lapislazzuli, ambre e perle.
Ai principali centri produttivi, come Alessandria d’Egitto, Atene e Taranto, si affiancarono anche le altre grandi capitali dell’Ellenismo, tra cui Siracusa, alla quale si possono attribuire alcune produzioni particolari e molto decorative.

I GIOIELLI ELLENISTICI TRA SIMBOLO E MAGIA

Anche gli oggetti più piccoli presentano inserti figurati: colombe, uccelli, felini, piccoli eroti svolazzanti o rappresentazioni della vittoria alata, con significati simbolici che riguardano la vita quotidiana, ma anche le aspettative di sopravvivenza ultraterrena.
Pietre e immagini avevano quasi sempre un significato, dal semplice valore augurale a quello più specifico di protezione di alcuni organi del corpo. Pendenti di varie forme potevano contenere veri e propri oggetti porta-fortuna nascosti alla vista, oppure essenze profumate, anche queste spesso considerate alla stregua di veri e propri filtri magici.
Anche alcuni soggetti non figurati, come il nodo che oggi in Italia porta il nome dei Savoia e che nell’antichità si chiamava ‘nodo di Ercole’, avevano un preciso significato e servivano a difendere la persona da influenze negative, ‘legandola’ come entro una corazza immaginaria.
In altri casi, i gioielli segnalavano l’appartenenza a gruppi specifici, soprattutto di carattere religioso.
Vestiti e gioielli indossati durante un’importante iniziazione religiosa potevano essere portati per tutta la vita in segno di voto oppure essere dedicati nei santuari.
In genere, una signora del ceto medio possedeva una parure di gioielli più o meno completa; così, anche gli orecchini, donati in occasioni importanti, come il matrimonio, erano portati per tutta la vita. In alcuni casi, il foro del lobo era progressivamente ingrandito per poter inserire esemplari particolari come quelli ad elice, esposti in mostra; una volta raggiunta la dimensione appropriata, venivano inseriti gli orecchini, che spesso erano destinati a non essere più tolti. DIADEMI E CORONEI monili accompagnavano la donna abbiente anche dopo la sua morte, con lo scopo di ornarla anche nella sua speranza di vita ultraterrena.
Per queste occasioni si realizzavano gioielli specifici, quasi sempre di lamina aurea stampata e ritagliata, molto vistosi ma assolutamente poco funzionali, destinati esclusivamente ai funerali e alla sepoltura.
Si tratta soprattutto di corone di foglie, ma anche di diademi ed orecchini.
Il diadema era uno degli elementi costitutivi dell’acconciatura femminile.
Quello di Montagna dei Cavalli, di lamina stampata con la figurazione di un corteo cerimoniale in onore di Dioniso ed Arianna, in cui mito e realtà si confondono, allude certamente alle speranze di vita futura offerte alla defunta dai misteri svolti in onore di queste divinità.
Le corone auree, simbolo di eccellenza, avevano fatto la loro comparsa già in età tardo-arcaica come prerogativa dei ceti aristocratici.
Esse conobbero una grande diffusione in periodo ellenistico, soprattutto nel II secolo a.C., contraddistinguendo personaggi emergenti, di cui premiavano i meriti o testimoniavano la fortuna economica o la preminenza religiosa.
Sappiamo dalle fonti che ricchi Italioti e Sicelioti che frequentavano il mare Egeo furono onorati dalle comunità locali con l’offerta di corone auree.
Così accadde, ad esempio, all’operatore economico siracusano Timon, che in seguito donò la corona ricevuta al santuario di Delo, dove lavorava suo figlio, il banchiere Nymphodoros.
In genere, le foglie o le rosacee erano montate su un supporto in materiale deperibile, probabilmente una benda in stoffa pregiata.

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